Orienteering eroico sotto il diluvio alla Vigolana

(di Andrea Migliore)

Ormai è certo: quest’anno gli dei dell’orienteering sono infuriati con i cultori di questo meraviglioso sport. Ai tempi antichi sarebbe bastato immolare vittime su altari o edificare chiese di marmo e oro; oggi non si può più e si deve patire sotto il nubifragio. Perché, ancora una volta, è la pioggia il tema dominante del weekend di Coppa Italia. Cambia di tono rispetto alla due giorni marchigiana, deponendo l’inusuale cattiveria della grandinata, ma acquista quella continuità tale da non risparmiare nessuno.

Immaginiamo ora che cosa avrebbe potuto immaginare un osservatore esterno che si fosse trovato sotto la tettoia del Palavento, ritrovo della due giorni di Coppa Italia a Vigolo Vattaro. Tutto intorno martella una pioggia incessante che non conosce tregua, infradicia i prati che diventano presto un pantano, i sentieri che sono resi fango, mentre le fronde s’imbevono di acqua pronte a scaricare sul primo che le sfiora. Sotto la tettoia ci si prepara; chi si spoglia per mettersi la veste da gara, incurante del freddo umido di questa località di mezza montagna, chi si infila ghette e calzettoni brontolando contro la pioggia. Fin qui il nostro osservatore sarà stato un po’ spaesato, ma non troppo: del resto la maggior parte dei concorrenti restano intabarrati in giacche e vento e mantelline, si radunano a gruppi guardando incerti i neri nuvoloni che opprimono l’altopiano della Vigolana. Non saranno così pazzi da uscire, avrà pensato, non ora che piove; annulleranno tutto, si sarà detto, come fanno in tutti gli sport normali. Ma poi avrà iniziato a vedere qualche élite girare attorno alla struttura riscaldandosi tra l’acqua in terra delle pozzanghere e quella in cielo della pioggia. Forse quelli forti partiranno, avrà immaginato, è il loro mestiere; ma quelli normali … i vecchi … i ragazzi … Poi avrà scorto i concorrenti delle prime categorie togliersi i vestiti inutili. Ragazzini e anziani, giovani talenti e comparse. Qualcuno si concede una veste termica, tutti comunque non vanno oltre una maglietta a maniche corte e quei buffi pantaloni larghi e traspiranti che non riparano affatto dal freddo. Li avrà visti prendere bussola e sicard, fare un lungo respiro e uscire fuori alle intemperie, lordandosi immediatamente le scarpe nel fango e bagnandosi come pulcini infreddoliti nel giro di un minuto. Ora il nostro osservatore non si sarà raccapezzato più: inesorabilmente, uno dopo l’altro, gli orientisti si alzano, si sfilano giacche e mantelle, ed escono corricchiando sotto la pioggia con la ferma intenzione di restarci un’ora almeno, se non più. In un crescendo di sconcerto, avrà visto levarsi e andare ragazzini imberbi alle prime gare sotto il nubifragio, agguerriti supermaster che invece ne hanno già visti un bel po’, atletici élite che si scaldano al passo con cui gli altri corrono abitualmente, posati signori che in settimana indossano eleganti completi o camici da scienziato, al calduccio nei loro uffici, e ora escono in maniche corte e buffi calzettoni sotto il diluvio. Se li avrà sentiti parlare prima avrà sentito discorsi logici e intelligenza, pertanto ora gli sarà completamente oscura la ragione di una simile follia, per quanto possa esserci talvolta nel metodo della pazzia. Ma una cosa è certa: pioggia o no nessuno si tira indietro e tutti, campioni o comparse, escono nel fango ad affrontare il proprio destino.

Perché non è una passeggiata quella che aspetta tra le intemperie. La montagna declina verso l’altopiano non offrendo esattamente un versante dalle pendenze dolci. Il bosco è decisamente più generoso di quello di Carpegna nell’offrire particolari, anzi non ha neppure la generosità infingarda di quelle selve che spargono massi ovunque rendendo la tratta oltremodo complicata. Ma non significa affatto che sia facile venirne fuori. Il versante è solcato da profondi avvallamenti, dai fianchi ripidi come rasoi e imbevuti ora di acqua; la corsa in costa, già resa disagevole dalla pendenza, è una continua sfida a restare in piedi: a tratti infide radici sono come sapone sotto i tacchetti, per il resto già impegnati ad arpionare, canaletta dopo canaletta, il fondo fangoso in discese azzardate e faticose risalite. Poi la tratta obbliga ad una risalita che taglia le gambe metro dopo metro e azzanna le risorse intellettuali già al lumicino dopo le fatiche di giornata. I sentieri stessi sono incassati come trincee, tanto che li vedi davvero all’ultimo e ti costa non poca fatica scendere da loro e risalire. I tacchetti sono chiamati agli straordinari, tanto che su alcune rampe, dove il fango e le foglie bagnate e le radici infide pullulano come zanzare nelle risaie, si tirano indietro come a dire: “Ora basta, non esageriamo”. E così vedi concorrenti ruzzolare, altri lasciarsi andare lungo qualche canaletta senza più la forza di tentare almeno di restare in piedi.

Insomma durante la giornata ne capitano di tante e di tali, che gli atleti rientrano alla base fradici di pioggia, senza dubbio, ma anche infangati da testa a piedi. Le scarpe dopo pochi minuti si sono già imbevute di acqua, tanto che i piedi quasi non li senti più. E immaginiamo lo sconcerto ora del nostro osservatore: vede gli sventurati tornare sotto la tettoia bagnati e infreddoliti, eppure strane emozioni campeggiano sui loro volti. Emozioni che non si sarebbe aspettato. Troneggia su alcuni un sorriso sorprendente per uno che è stato ore sotto la pioggia, per altri domina una certa rabbia delusa: ma non è per l’ennesima corsa sotto il diluvio della stagione, né per il freddo o le scarpe infangate all’inverosimile. È solo per gli errori compiuti, una scelta di percorso sciocca o un giro per funghi attorno ad una lanterna particolarmente ritrosa di farsi trovare. Ecco il nostro osservatore sarà completamente sconvolto. Perché quei pazzi, ormai li definisce tali, non corrono subito agli abiti asciutti o al the caldo. Nossignore, si mettono ordinatamente in fila per scaricare in viso l’ansia di sapere se la loro gara è regolare o no, si fermano a controllare la posizione, indugiano presso i monitor a scrutare la classifica, si uniscono in capannelli a scambiarsi le prime impressioni. Tutto mentre le scarpe sono ancora lorde di fango e i calzini zuppi di acqua e le divise di società fradice e sporche. Dei pazzi, concluderà il nostro osservatore; coraggiosi, ma sempre dei pazzi.

Weekend un po’ amaro per gli atleti besanesi nel weekend, con diversi piazzamenti sotto il potenziale. Ovviamente non tutti seguono questo sconsolante canovaccio: è il caso di Marco Anselmo in M16 e Anna in W50, che siglano una splendida doppietta, blindando il gradino più alto del podio in entrambe le gare. Altre vittorie arrivano da Silvia in W12 e da Luca e Giulio che si spartiscono le vittorie in MB. Per il resto arriva qualche podio tra i master, un po’ di piazzamenti e qualche ritiro di troppo. E gli avversari non sono stati certamente a guardare, tanto che i bianco-rosso-blu devono abdicare in quasi tutte le categorie della classifica generale. Resistono al primo posto soltanto i veterani, mentre i giovani scivolano addirittura al terzo posto e gli assoluti si devono accontentare della piazza d’onore. La pioggia della Vigolana ha ingolfato un po’ il motore dei besanesi, ma la stagione è ancora lunga e, dopo la tempesta, ritorna sempre il sole.