Incanti di un notturno veneziano

(1 febbraio 2020)

C’è stato un tempo in cui hai creduto nella magia; incanto e meraviglia erano per te cose reali e certe. Poi sei diventato grande e la fredda razionalità o, più banalmente, l’indifferenza ti hanno mostrato un mondo molto diverso, più grigio ma più sicuro. Ogni tanto, in un libro o in qualche fantasia, hai ricercato quell’universo gioioso e incredibile, ma non ci hai mai creduto come un tempo: al massimo hai rimpianto la felicità di quando eri bambino e non avevi responsabilità. Intanto sei diventato un orientista e hai deciso di iniziare la nuova stagione a Venezia. Ci sei arrivato preparato: lo sapevi che avresti corso nella città più bella del mondo, ma ci sei già stato tante volte e pensi che ormai ti venga a noia. Così mentre esci dal centro sportivo, che fa da ritrovo, hai in mente solo di prendere parte ad un tassello della tua preparazione per le gare che contano davvero. Poi, passato un ponte e un paio di vie, ti fermi un attimo: un canale si apre davanti a te, sull’acqua giocano i raggi della luna assieme alla luce dei lampioni. Nel buio della notte risaltano i palazzi testimoni di una storia secolare, ondeggiano le gondole dalla forma sinuosa, si slanciano i ponti tutti diversi tutti eleganti; più avanti si erge un campanile che non è neppure tra i più pregevoli della città: troneggia distinto sopra una piazzetta alberata che per i colori tenui nell’oscurità ricorda un quadro impressionista. I rumori della città, degli altri orientisti che vanno in partenza, sono ovattati: c’è un incantesimo nell’aria che smussa tutto ciò che non lega con l’atmosfera da sogno che aleggia sui canali e tra le case. Verrà il momento in cui anche questa emozione passerà, ma in quel momento credi di nuovo alla magia, come quando eri bambino e tutto sembrava possibile. Di fronte ad una bellezza così romantica e nel contempo maestosa cadono i freni dettati da anni di razionalità o indifferenza, scemano rabbia e delusione: solo parole d’amore sgorgano dal tuo cuore ammaliato, conquistato.

Ci possono essere mille parole per descrivere Venezia, o forse nessuna. Ogni metro corso in questo museo a cielo aperto è un dono, amore puro. Mentre la frontale illumina il labirinto di calli, ponti e canali, mentre la mente si arrabatta per trovare un percorso logico, gli occhi si riempiono di una magia che solo molto grigiore, molti insuccessi e molta rabbia potranno cancellare. Non pesa la fatica che scalinata dopo scalinata ti taglia le gambe, non infastidisce la gente che si affolla rallentandoti o domandandoti con la solita ingenuità se sia una caccia al tesoro; gli errori stessi scivolano via più lievi perché sono nell’aria incantesimi così dolci da smussare ogni sensazione negativa. Nella mente combatte una lotta inedita, tra la voglia di arrivare il prima possibile al traguardo e la tentazione di correre per sempre in questa meraviglia. Se esiste un Paradiso dopo la morte, in questa gara sto assaporandone un anticipo del mio.

I primi punti lasciano un po’ sorpresi perché filano via facili, e le tratte semplici non sono Venezia. Poi un paio di lunghi traversi portano a ridosso del Ponte di Rialto, dove si annida la matassa più stretta e insidiosa dei vicoli, con deviazioni tanto ravvicinate da mettere paura: leggere la mappa ora diventa difficile e un piccolo errore in questo punto significa essere letteralmente perduti. Si trotterella tra le calli con il cuore in gola, non solo per lo sforzo ma soprattutto per la tensione di essere davvero nel punto in cui si crede di essere. I puristi dell’orienteering non amano le gare sprint perché non hanno lo spessore tecnico del bosco, e questo è molto spesso vero; Venezia però esiste per dimostrare che si può avere complessità anche nelle gare urbane e sono sicuro che esistano boschi, e non pochi, più semplici di questo labirinto. Anche nella mente dei più forti, quelli che all’apparenza vanno sicuri, come se avessero un filo di Arianna a guidarli, si agitano le stesse tensioni delle ultime comparse. Avvengono a velocità superiore, ma anche nei loro occhi talvolta leggi preoccupazione e tensione e paura di sbagliare, e poi il sollievo di aver preso la decisione migliore.

Sono undici i Besanesi a calarsi in quest’arena da sogno, senza riportare in Brianza, però, allori o podi. Il risultato migliore lo conquistano Maria Chiara e Irene, rispettivamente quinta e sesta nel percorso nero, quello più difficile. Davanti a loro alcune tra le migliori interpreti della disciplina, pertanto il messaggio che i colori bianco-rossi quest’anno battaglieranno in WE è lanciato e speriamo che i risultati arrivino brillanti come negli anni passati. Dietro di loro ci sono Federica e Laura, che dal labirinto di Venezia escono a testa alta e mostrano che in WE la società brianzola ha una profondità d’organico da fare invidia. Tra i maschi nel nero prende il via solo Andrea, autore di una prova in linea con le sue possibilità, a cui era impossibile chiedere di più visto il lotto degli avversari. Nel percorso rosso va molto bene Alessandra, quindicesima dopo una gara condotta con la sua consueta matematica precisione. Dietro di lei il sistema dei colori, che accorpa categorie eterogenee, è indigesto ad un terzetto di combattive master: Elena entra comunque nei quaranta, mentre qualche errore di troppo condanna Loredana e Ambrogina al fuori tempo massimo. Buona prova anche per Maria Pia nel giallo, dove sfiora la top ten. Punzonatura mancante invece per Fiorenzo che fa esperienza in un percorso complicato come il rosso.

Ma quando si corre in un’atmosfera di pura magia, circondati dalla bellezza più vera e dallo struggente romanticismo di una città unica al mondo, il risultato passa in secondo piano. La sera della gara l’incantesimo delle calli illuminate è un regalo piovuto dal cielo, un pungolo a continuare a sognare la bellezza e la meraviglia, nonostante tutte le delusioni, la rabbia e l’indifferenza.

(di Andrea Migliore)