Il secondo weekend di gare nazionali si disputa al confine tra Basilicata e Calabria e coincide con il Latinum Certamen, trofeo internazionale vinto dalla selezione azzurra anche se contro avversari non irresistibili. Le gare nel sud Italia hanno sempre un fascino particolare, offrendo arene spettacolari sia in bosco sia in città, ma sono anche lo specchio della difficoltà della federazione nell’allargarsi oltre il centro della penisola: la partecipazione locale è poco più che simbolica e la grande distanza ha scoraggiato anche l’afflusso di molti atleti dal nord Italia. Andrà fatta presto una riflessione sul senso di proporre ancora gara in contesti così lontani, incapaci di smuovere l’asfittico movimento locale, con una partecipazione di poco superiore a gare regionali.
È un peccato, però, che così pochi siano venuti, perché i boschi del sud Italia hanno scintillato nella loro bellezza. Si inizia dai Piani di Masistro, in Calabria, per una long di struggente bellezza, capace di cambiare volto man mano che si va avanti, togliendo certezze e regalando spettacolo. La partenza sui semiaperti sassosi a nord è un gioco complesso: si procede incespicando sul fondo ostico, mosso come l’orografia attorno che non prelude ad una giornata facile. Passano alcuni punti, si attraversa una strada, e cambia tutto. Una faggeta ombrosa si estende su ampi collinoni, alti abbastanza da far paura a chi si accosta dal basso. La rampa per superare la prima barriera è tremenda, affilata e taglia il fiato. Ma per chi arriva in cima e volge lo sguardo oltre, si aprono metri e metri di meraviglia. Non è un orienteering facile, intendiamoci: le forme si attorcigliano poderose e severe, rendendo complessa la lettura; ogni errore viene pagato a prezzo altissimo, perché implica molti metri di dislivello non semplice che tagliano forze e creano disperazione. Però il terreno si appiana: correre diventa piacevole; il silenzio maestoso dei faggi, rotto solo dai borbottii di chi ha sbagliato, pone la magia su tutti i concorrenti: il tempo diventa quasi una dimensione irrilevante, per quanto sia una gara, anche nell’errore dà piacere correre in questo luogo. Le forme tondeggianti avvolgono morbidamente gli atleti, come una coperta che riscalda nella notte più nera. Punto dopo punto, pare a tratti di volare in un bosco così bello. La fatica stessa è trasfigurata, diventa quasi un piacere perché sulla morbida superficie della faggeta, tanto liscia che pare una sala da ballo, non c’è spazio per il dispiacere e il rammarico.

Finita la gara, c’è appena il tempo di respirare perchè già se ne deve affrontare una seconda. Decisioni dall’alto hanno imposto di ricollocare la sprint nel tardo pomeriggio del giorno della long. Si deve correre con le energie al lumicino dopo il grande dispendio della mattina, tanto che è quasi un peccato non potersi godere appieno la bellezza anche di questa gara veloce. Rotonda poggia e degrada da un ripido colle, così che le sue vie raramente offrono respiro: o si arranca o ci si precipita giù. Le case poi, all’uso di tanti borghi italiani, sono addossate le une alle altre, sparpagliate sul dosso; creano una confusa matassa di vicoli e passaggi, scalette e pieghe che confondono e inducono all’errore. Gli orientisti, ancora provati dalla fatica mattutina, annaspano nelle stradine, perennemente confusi e incerti. Gli sguardi corrono rapidi e insicuri ora alla mappa, ora alla ricerca della svolta o di un piccolo segnale. I pochi punti fermi, ora una fontana, ora uno slargo più ampio, sono accolti come il sole dopo una tempesta, rallegrano e scuotono. Un attimo dopo, però, si ripiomba nel gomitolo di viuzze e lo scoramento ritorna prepotente. Campioni e comparse recitano incerti, si fermano, accomunati per una volta nell’insicurezza di aver preso la decisione giusta; qui anche i forti bevono l’amaro calice del dubbio, che normalmente rigettano sprezzanti; anche loro gustano l’aspro sapore dell’errore, del dover tornare indietro, del temere la sconfitta per propria mano e non per la conclamata superiorità degli avversari.

Il calendario rivisto consente un giorno di riposo prima di affrontare l’ultima fatica, la prova middle a Piani di Pedarreto. Prosegue, infatti, la mania locale di definire “piani” posti che non lo sono affatto. L’arena della gara middle sorge in cima ad una ripida salita, che consente una splendida visuale sull’Appennino Lucano, ma essendo la base del Monte Pollino, non lesina certo in fatto di nuove rampe. Anche oggi le tratte in piano sono poche e misurate; molte categorie, dopo pochi punti, devono affrontare una lunga scalata di parecchie linee maestre che taglia gambe e lucidità a tutti. Poi, compiuta questa difficile arrampicata, si apre il luogo chiave della carta: la zona di massi. Non compare improvvisa, perché tutto il bosco è piuttosto sassoso e aspro, ma la parte più orientale della mappa si annoda con maggiore cattiveria. Ovunque rocce e buche, attorcigliamenti e doline, ferocia e cattiveria. Il bosco da maestro severo si fa, in un attimo, aguzzino. Accoglie un atleta dopo l’altro, li vede arrivare baldanzosi, felici di aver compiuto percorso netto sinora, al massimo stanchi dopo la rampa di qualche minuto prima. Li lascia entrare nella sua nera tana, allegri, fiduciosi, convinti di giocarsi qualcosa. Li scruta tenebroso e sogghigna, perché in capo a qualche istante i sorrisi si spengono, le gambe si piegano, i cuori vacillano. All’inizio era solo una piccola deviazione, che hai fatto sicuro perché, che vuoi che sia, dovevi aggirare un piccolo colle e poi ti raddrizzi. Peccato che subito oltre si aprano altre mille forre o cocuzzoli che ti confondono e disperdono. Per altri, invece, era un punto apparentemente saldo: un naso evidente o un avvallamento su cui avresti scommesso anche la casa. Credi di essere in un luogo ben preciso, mentre il bosco ti scruta soddisfatto che la sua trappola sia scattata. Ecco una stoffa: punto raggiunto, pensi, la gara fila liscia: sei fortissimo. Poi leggi il codice. Dapprima è un attimo di incertezza: è un errore di chi ha posato, tu sicuramente … ma il sogghigno del bosco, tutto attorno a te, svela ogni cosa: hai errato e sei chissà dove. Iniziano così penose marce, disperate riflessioni, pianti e strida. La selva ti avvinghia nella sua matassa di forme e massi e stritola ogni tua ambizione con metodica e sadica ferocia. Molti, entrati gagliardamente nella zona di massi, ne escono timidamente, ridimensionati, sconfitti. L’ultima parte di gara pare compensare dall’asprezza delle precedenti, offrendo finalmente un bosco piacevole, ampi prati e la discesa. Molte menti, però, sono confuse e intimorite, le gambe molli e incerte: anche piccole difficoltà ora vengono esasperate, tranelli nascono laddove, in altri momenti, andresti sicuro. Ancora alle tue spalle odi il bosco ghignare, soddisfatto di aver mietuto altre vittime, piegato la sicurezza, sconfitto gli insicuri.
