Appena due settimane dopo il weekend calabrese, il turbinante calendario delle gare nazionali si sposta nel piacentino, in quel punto dove gli Appennini segnano il confine tra l’Emilia, la Lombardia e, poco più avanti, la Liguria. La posizione più favorevole alla maggior parte delle squadre garantisce numeri più elevati in quanto a partecipazione, che l’affascinante ma un po’ improvvida trasferta al sud non aveva permesso.

Bobbio sorge alla confluenza tra due fiumi, il Trebbia e un’affluente che porta il nome della cittadina, appoggiata sul versante che sale verso l’arena della gara middle della domenica. Questa conformazione favorì, in passato, l’edificazione di un castello, così come oggi permette una certa quantità di salita. L’abitato è antico e ha avuto anche ascendenze romane, per fortuna dell’orienteering senza prendere quei caratteri di vie regolari e squadrate; ciò permetterebbe di organizzare tracciati almeno piacevoli, vuoi per il reticolo di strade non banale, vuoi soprattutto per il complesso meccanismo di mura e passaggi del castello che in alto domina. Dove, però, la mano della storia è stata benevola con gli orientisti, ci pensa quella del tracciatore a creare qualche delusione. La partenza nel castello è scenografica e rende il primo punto subito complesso, imponendo una scelta chiave che va presa nei primissimi secondi di gara. Ricevi la carta in mano, compi i primi passi sotto l’ampio arco di accesso e freneticamente cerchi il triangolo e poi il primo punto; ed ecco che già ti giochi la gara con una scelta lunga per una sprint. In queste prove veloci, in genere, è questioni di pochi attimi essere vincitori o sconfitti; oggi sono i primi secondi a determinarlo. Dopo questo inizio pirotecnico, però il percorso si sgonfia, alternando tratte banali ad altre che provano a rielevare lo spirito della gara, ma senza riuscirci appieno. E, tuttavia, sinché si resta nel paese l’esercizio è ancora piacevole, per quanto un po’ semplice per una gara nazionale: gli orientisti sfrecciano sul ciottolato bagnato, indovinando i pochi ma precisi tranelli. Poi una discesa porta lungo il torrente Bobbio; qui c’è un piccolo dentro fuori che potrebbe aver tratto in inganno qualcuno, ma di sicuro rappresenta l’ultimo vagito di una gara che potrebbe finire qui e sarebbe stata carina. Prosegue invece, sprofondando: quasi tutte le categorie hanno ancora due o tre punti lungo un sentiero largo, diritto, in leggera salita. Increduli campioni e comparse attingono alle ultime energie per divorare questo tratto finale, quasi tutti chiedendosi perché la gara diventi così semplice, inutile anzi.


La gara un po’ abortita del sabato viene, però, ampiamente riscattata dalla middle della domenica, corsa sul confine regionale nella carta di Ceci-Brallo. Si parte in Lombardia in un bosco bianco tendente al verde più chiaro, ma dove è un piacere correre. Il terreno è mosso, ma docilmente ed è un bel cambio rispetto alle asprezze delle mappe calabresi. La tecnica sale in cattedra, mentre si caracolla da un punto all’altro, facendosi strada tra canalette e fiumiciattoli che le recenti piogge hanno ringalluzzito. Il fango è onnipresente, ma è comunque una presenza discreta: si mostra ma senza infierire troppo. Intanto, nuovi nembi si adunano minacciosi. La giornata iniziata con un sole splendido, di colpo si rannuvola: gli ultimi sprazzi di sole rapidamente sono circondati, ridotti, infine spazzati via. Il cielo si fa grigio e alla fine arriva anche la pioggia. La concentrazione degli atleti, tuttavia, è dedita solo al terreno di gara, che attorno a metà gara cambia registro. Il docile declivio viene sostituito da collinoni più imponenti e valli profonde. La visibilità aumenta, ma la fatica di più: ora l’errore si paga con metri e metri di dislivello che tagliano le gambe e le energie. Nel punto più lontano dal traguardo il bosco, incupito dal meteo rannuvolato, si fa più oscuro, i dettagli si diradano svanendo come neve al sole e lasciando impotente chi commette un errore in questo punto. La parte finale della carta, muta ancora pelle. Ora si corre sulle piste da fondo che, finalmente, disegnano un po’ di regolarità e un bel terreno scorrevole, anche se non piatto. Attorno, invece, la selva si attorciglia nel verde più aggressivo, avvolgendo ogni cosa con le fronde di una primavera avanzata e abbondantemente nutrita di acqua. I concorrenti, ormai stanchi, si trascinano di macchia in macchia cercando gli ultimi punti con disperazione. Una nuova rampa taglia loro le residue forze, ma il finale spiana offrendo, finalmente, un’ampia via su cui correre, libera da vegetazione e altri impicci.
