L’orienteering è uno sport che abitua a percorrere strade differenti, a cambiare. Pertanto, non deve stupire se una pattuglia di orientisti italiani abbia preso parte ad una cinque giorni in un paese poco noto alle usuali rotte dello sport con la bussola. Il Montenegro è una nazione dall’orografia aspra e dai lineamenti orgogliosi: le montagne si ergono possenti già a ridosso di un mare di rara bellezza; strapiombano sulle calette di rocce, mostrando un volto arcigno; i fianchi ripidi sono intessuti di massi e di una fittissima vegetazione bassa. Nell’interno le montagne assumono contorni più alpini, slanciandosi oltre i duemila metri in un coro di cime una più bella dell’altra e lasciando pochissimo spazio alle aree pianeggianti. Su una di queste rare zone piatte, l’altopiano del Durmitor, si è tenuta la cinque giorni a cui hanno preso parte nove italiani, tra cui cinque besanesi.
Il programma prevedeva quattro gare in bosco e una sprint finale a Zabljak, il maggiore abitato dell’altopiano. Tranne che nella gara in città, si correva su un’unica grande mappa affrontata, giorno dopo giorno, da angoli differenti in un continuo cambio di prospettiva, per quanto le caratteristiche tecniche restassero le stesse. Il bosco montenegrino ha, comunque, un aspetto severo e punisce inesorabilmente chi si avventura con troppa leggerezza. Ad una prima vista pare il regno delle microforme, una matassa attorcigliata di curve e doline che spaventa i meno preparati. Bisogna entrarvi con il necessario rispetto, pescando con dovizia dal proprio bagaglio tecnico senza sottovalutare il terreno pulito che invita a correre veloci; qui una distrazione anche piccola può portare al disastro. Tutto inizia con un’apparente inezia: non scorgi una piccola depressione. Prosegui; hai appena lasciato il sentiero e ti senti sicuro della posizione: più avanti ti aspetti una piccola collina e un’altra dolina che ti indirizzeranno. Avanzi veloce e la dolina effettivamente c’è; ma dove è la collina? Il terreno declina da una parte e la mappa non torna. Scorgi una piccola traccia di sentiero, ma non è segnata; ti aggrappi al pensiero che la carta non sia precisa, forse non hanno segnato tutto. Ma dove è la collina? C’è un masso, ma sarà segnato? In pochi attimi il bosco si fa avaro di riferimenti: davanti a te le forme si appiattiscono, oppure si moltiplicano all’infinito. Ancora un attimo e l’errore si mostra nella sua interezza. Inizia così il difficile gioco di ritrovarsi in mappa, mentre l’orologio ticchetta e la mente percepisce che la gara è perduta.
L’orienteering è uno sport esigente, che punisce con gli interessi la distrazione di un secondo; si salva solo una mente fissa sull’obiettivo, che non vacilla e non si distrae, anche quando il corpo reclama per una pausa e il cervello deve inviare le sue riserve ai muscoli, che stanno per cedere, e fatica a restare sul pezzo. In Montenegro la musica non cambia: i più forti corrono e i più deboli annaspano, perpetuamente sul collo la mannaia dell’errore che incombe impietoso, dolina dopo dolina, microforma dopo microforma. A ciò si aggiunge l’approssimazione della mappa in alcuni punti: fioriscono le tracce di sentiero e i verdi sono a tratti discutibili. Anche questo fatto separa i forti dai deboli: i primi anche nella confusione più nera, sanno sempre estrarre qualcosa dal cilindro, vanno avanti rafforzati dalla sicurezza della loro bravura e il distacco dai secondi cresce metro dopo metro. Gli altri vacillano, pungolati dalla fatica, intimoriti dal bosco che cambia il suo aspetto come in un gioco di prestigio, inchiodati dalle insicurezze e dalle mille sconfitte. Cento volte li vedi guardarsi attorno battuti, cercando con disperazione per un appiglio che li riporti a galla. Proseguono, tuttavia, spinti più dall’orgoglio che dalla speranza; portano con sé un fardello maggiore degli altri, perché la continua sconfitta zavorra come il piombo, ma non cedono. Se altre selve si divertono ad infuriare su di loro, il bosco montenegrino invece è severo ma giusto: offre sempre qualche appiglio che ti porta fuori. E se non ci pensa il bosco ci si ingegna tra gli umili: tra le doline si intessono alleanze insospettabili: italiani, serbi e ungheresi parlano lingue diversissime, hanno fedi e idee diverse tra loro, ma nel bosco basta uno sguardo alle volte, un numero biascicato in inglese; ci si ritrova e si trova il prossimo punto. E in una terra così martoriata da odi ancestrali, che ha vissuto l’orrore più nero, possa essere questa una speranza per il futuro.
La sprint in paese cambia lo spartito anche se la melodia resta la stessa. I forti danzano tra le lanterne per nulla intimoriti dal cambio secco tra i primi punti in bosco e la seconda parte tra le casette di Zabljak. Oggi, però, i particolari sono maggiori; su una tratta in bosco addirittura è il fumo di un piccolo incendio in zona punto a fare da riferimento. Non ne esce la sprint migliore del mondo, anche perché la tracciatura non infierisce più del necessario. Le vie del paesino sono guide facili da leggere e ben presto si rinuncia quasi a tagliare tra la confusione di casette che sorge in mezzo, dove stupiti villeggianti occhieggiano quasi sospettosi il passaggio di questi personaggi in calzettoni.
Per una volta sono gli italiani a fare la voce grossa, dominando praticamente tutte le categorie in cui sono iscritti e, soprattutto, le due classifiche regine, quelle élite. Significativo il dominio in ME, dove l’Italia piazza quattro atleti di varie società nei primi cinque posti, lasciando scoperta soltanto la seconda posizione. C’è gloria anche per i colori rosso-bianco-blu, visto che gli atleti brianzoli riportano a casa la vittoria in WE dove Irene Pozzebon si impone in tutte le cinque tappe. Vittoria di tappa e secondo posto in graduatoria anche in MA dove Andrea Migliore, dopo una serie di piazzamenti, si impone nella sprint finale. In entrambe le categorie va segnalata, però, una start list molto corta. Nella combattuta ME è bravo Luigi Giuliani, in lotta per il podio fino alla terza giornata nella quale accusa una flessione che non gli impedisce, comunque, di terminare in quinta posizione.