(28-29 settembre 2019)
Decisamente non è un weekend di riposo quello ospitato dai boschi del monte Bondone; nonostante il meteo si mostri per una volta eccezionalmente clemente, i tracciati offerti ai quasi ottocento orientisti, giunti per l’ultima prova di Sprint Race Tour e la 6° prova di Coppa Italia, sono di una durezza raramente vista. Molti erano arrivati a Trento cullandosi nell’illusione che la sprint di Candriai fosse una prova simile alla prima gara stagionale al Bosco Virgiliano con un po’ più di dislivello; mentre la gara a Viote del Monte Bondone fosse sì molto lunga, ma per questo facile, veloce, quasi tutta sui prati. Ecco, chi è arrivato con queste convinzioni è stato molto rapidamente e ferocemente disilluso.
Già il tratto per andare in partenza a Candriai è suonato a tutti come molto strano, per non dire sinistro. Strada in salita, piuttosto ripida, in un bosco scosceso e selvaggio; quindi secca svolta e ci si incammina su un sentiero stretto stretto. Ci si incammina è il termine più corretto perché solo qualche élite osa corricchiare. I più si guardano attorno straniti. Dove sono l’asfalto e le svolte veloci? Dove sono i parchi urbani e tutte le altre caratteristiche tranquille delle sprint urbane? Ci si accalca alla partenza sperando che oltre la curva del sentiero il bosco si mostri più gentile.
Poi si prende la mappa e si parte forte, come conviene ad una sprint, ma quasi subito si è costretti a ricredersi. La selva si estende intorno, sorniona e infida, del tutto priva di riferimenti immediati come quelli che l’occhio coglie al volo nella concitazione delle gare veloci. Anche quando compare il paese si rimane in una gara di bosco vera e propria: si susseguono prati malagevoli, tagli che sono un’avventura coraggiosa, macchie di vegetazione fitta. La mente e le gambe faticano ad abituarsi ad un contesto tanto anomalo e le trappole sono dietro l’angolo. Ovviamente il terreno rende tutto più ostico, perché un conto è correre sul terreno liscio dei borghi, un altro arrancare sulle rampe o nei semiaperti grezzi colmi di ortiche.
Ma tutto questo è solo un antipasto di quanto aspetta il giorno dopo. Il ritrovo alle Viote del Monte Bondone sorge in mezzo ad ampi pratoni inframmezzati da boschi fitti ma non troppo grandi. La cima che troneggia sull’arrivo appare un dolce declivio che promette velocità e tratte facili. Molti se lo ripetono affinché il pensiero non corra ai troppi chilometri sforzo che attendono. Arrivano i primi concorrenti, intanto, quelli delle categorie corte. Si osserva i loro volti tirati e qualche dubbio sovviene. Ma raccontano di prati, tosti ma aperti; si giudica la fatica per il frutto di una gara corsa a tutta. Così ci si incammina sereni verso la partenza. Intorno il bosco si fa severo incutendo qualche timore. Ma ci illude che i punti là dentro saranno pochi: ci sono dei tempi da rispettare, non può essere troppo dura ci si dice.
Poi si arriva alla partenza, si prende la mappa, che pare un lenzuolo, e ci chiede come sia possibile portare a termine la gara. Un attimo dopo si è immersi in un manto arlecchino di piccole radure, boschetti alternati a zone più fitte che mandano subito in confusione. L’illusione che sarà facile dura uno, massimo due punti. Poi, dopo una nuova rampa cattiva, ci si arrende all’evidenza che non sarà facile per niente. Si va avanti cercando di convincersi che è solo il primo loop ad essere duro: poi tutto diventerà più semplice. Eppure, valicata un’altra collina, mentre il cronometro segna inesorabile un tempo già alto, si guarda la mappa, ci si accorge di aver completato forse un quarto della gara e lo scoramento assale anche il più forte.
Il pendio che era sembrato così dolce un paio d’ore prima si estende beffardo davanti. Qualunque sia la scelta va scalato curva dopo curva, quando le gambe sono già piuttosto provate. Gli orientisti annaspano esausti sul sentiero che sale inesorabile, oppure incespicano sul costone di prato affilato come un rasoio. E non è finita lì. Ci si era illusi che il finale fosse facile: gialli aperti dove si vede tutto e piccole estensioni di bosco, ma non è affatto così. Il dislivello non molla e inizia a diventare enorme. Le difficoltà tecniche non cessano, anzi si ingigantiscono ora che la lucidità è al lumicino. Ci si trascina lentamente, sfiniti, punto dopo punto desiderando solo più il traguardo. E quando questo arriva è ancora una rampetta, leggera, ma pare un muro per gambe sfibrate, polmoni esausti e menti prive di forza di lottare ancora.
Arrivano diversi successi per i colori bianco-rosso-blu e sono soprattutto i giovani a brillare. Su tutti spiccano Marco Anselmo, che vince entrambe le prove in M16, e Angelo, che si impone in M20 nella gara long. Per entrambi vittorie di prestigio in categorie sempre molto ostiche e in prove che richiedevano un mix importate di tecnica e abilità atletiche. A completare il bel weekend dei giovani ci pensano Chiara che in W12 non lascia nulla alle avversarie e Francesco, bravo ad andare a podio in M20 sia nella sprint e nella long.
Nell’altro tradizionale serbatoio di successi, la WE, complici le numerose assenze, arriva soltanto il settimo posto di Anna la domenica. Brillano invece i maschi, capaci di ben figurare nelle due prove. Spicca il nono posto di Luigi nella long, al termine di una gara che data la lunghezza definire epica è poco.
Come sempre le categorie master portano un’abbondante messe di allori, nonostante qualche assenza. Oltre ai numerosi piazzamenti arrivano quattro successi: Stefano si impone in M50 in entrambe le giornate, mentre Gianluca vince la M55 nella sprint e Anna la W50 nella long.
Tutti questi risultati fanno sì che la Polisportiva Besanese mantenga la leadership nella classifica generale di società con un buon margine sulle più dirette inseguitrici. E se nelle categorie master il primato è consolidato, ci si riporta sotto anche nella classifica giovani, segno che le nuove leve si stanno mostrando sempre più degne.
(di Andrea Migliore)