Il calendario orientistico nazionale si conclude in Liguria, con una due giorni alle porte di Genova dove si disputano la finale della Coppa Italia Sprint e il campionato italiano staffetta. Una stagione che si era aperta con le splendide scenografie di Vieste e Vinadio, ed era proseguita con l’imponenza delle vette innevate sopra Livigno, si chiude davanti ad una scenografia decisamente più modesta, ma con due gare di buon livello tecnico.
Bolzaneto è uno degli estremi sobborghi del grande porto di Genova; di sicuro non offre un panorama di rilievo, anzi la non riuscita trasformazione da città industriale porta con sé un’atmosfera sospesa e piuttosto deprimente, che probabilmente ha scoraggiato i molti orientisti giunti sin qui e non ha lasciato propendere per nulla di buono. Invece il tracciato rivela un’anima interessante, che ha di sicuro soddisfatto anche i più esigenti. Ne viene fuori una gara difficile da interpretare, che muta costantemente di aspetto, sorprendendo e divertendo. La partenza a tutto gas tra gli ampi caseggiati lungo il torrente Polcevera non predispone ad un grande spettacolo, ma la prima salita richiama subito ad una lettura più attenta e i muscoli al primo fuori giri di giornata. Discesa complicata tra gli scalini e subito si deve di nuovo cavalcare a briglia sciolta nel piano. Due o tre punti così e ancora si torna a salire, mentre gli spazi si restringono all’inverosimile. Nei giardini della scuola gli zigzag per superare muri e siepi sono continui e velocissimi, mentre la seconda dura salita lima le energie rimaste lasciando in riserva. E quando si è finalmente compresa quella piccola matassa di svolte e particolari, il tracciato conduce di nuovo negli spazi aperti, dove si deve nuovamente sgasare per arrivare al traguardo, facendo questa volta davvero appello alle ultime residue stille di energia.
Il campionato staffetta ha, invece, una sede più nobile dell’afflitta e degradata Bolzaneto. I Piani di Praglia sono una vasta area di semiaperti sulle montagne che salgono dal mare; collinoni dai fianchi arrotondati si alzano avvolti da piccole aree di bosco fitto e ampie zone di terreno più o meno aperto. È una rarità assoluta del bosco ligure, che fa delle arcigne volute e dei rognosi sottoboschi il suo tratto caratteristico, quasi gloriandosi di mettere in campo zone di massi insidiosi, contorte orografie, terreno lento ed esigente. Non che ai Piani di Praglia si possa volare di collina in collina, perché anche qui il fondo è infarcito di zolle che severamente impongono dazio alla corsa veloce; qua e là piccole macchie fittissime rallentano i più orgogliosi, i fianchi delle colline sono arrotondati ma non certo dolci, anche i sentieri si intestardiscono a porre lacci e lacciuoli alla corsa.
Così, quando la massa dei più forti si è involata verso le sue lotte di alta classifica, dietro, la schiatta delle comparse, si deve arrabattare a guadagnare, un punto dopo l’altro, la strada verso l’arrivo. Ma è una via lastricata di imprecazioni e fallimenti: tutto congiura per respingerli e beffarli. Gli spazi più o meno aperti, che sono tutto fuorché facili, confondono e smarriscono con la loro cangiante diversità. I fianchi arrotondati non forniscono indicazioni facili sulla posizione precisa, così un piccolo errore di bussola conduce a cercare il punto dove, fatalmente, c’è solo il nulla e dal niente non si produce altro che perdita di tempo ed energia. Le macchie di vegetazione fitta si mescolano tra loro, irridendo l’orientista disperso e sconfitto; nascondono la via corretta con la loro matassa di vegetazione. Si prosegue così, schiaffeggiati dal terreno ostile che non concede nulla e ti irride errore dopo errore. Il sistema dei lanci in massa, perlomeno, non lascia completamente soli in balia della selva che ti deride. Attorno a te ci sono avversari e sconosciuti, resi tutti uguali dal peso dell’errore: insieme a loro ti trascini di punto in punto, come loro mortificato dalla cangiante e ostica natura del luogo, come loro sfibrato da una nuova rampa o dalle zolle infide. Per i primi che sono partiti, a momenti, compare uno di quelli forti davvero. Passa, danzando di zolla in zolla, e in un attimo è già sparito, lasciandoti con un senso di meraviglia e di forte colpa per non essere simile a lui. Gli ultimi, invece, sono più soli; costretti dagli errori dei loro compagni a commettere i loro sbagli mentre i forti sono già rincasati a festeggiare o a rammaricarsi delle loro piccole sviste. Ma questa parziale solitudine è quasi fonte di sollievo, perché oggi si è tra pari, senza l’ingombrante presenza dei campioni, che passano, paiono irridere con la loro forza, e fuggono via.
Si chiude, così, con gli arrivi alla spicciolata delle ultime comparse, un altro anno di orienteering nazionale, che ha esplorato angoli meno noti allo sport con la bussola, permettendo di conoscere realtà diverse ma altrettanto valide. L’inizio sontuoso di fronte alle candide scogliere di Vieste mostra che, come sempre, la penisola sa offrire splendide quinte alle gare nazionali, situazione che ha toccato, probabilmente, l’apice nella meraviglia del Passo Eira, dove una gara tutto sommato modesta è passata in secondo piano quando l’occhio di ognuno ha potuto mirare la meraviglia delle montagne intorno. Si sono vissute giornate da tregenda, dove si è dimostrato che gli orientisti non sono sicuramente gente che si fa spaventare da due o duemila gocce d’acqua. Si sono scoperte arene di assoluto valore tecnico, tra tutte la sprint di Vinadio, di fronte a cui i ben più nobili campi di gara degli europei di inizio ottobre hanno dovuto chinare il capo. Per alcuni è stato un anno di successi, per altri di schiaffi continui, inferti ora dagli avversari, ora dal bosco; ma sul volto di tutti, lasciando il campo di gara di Piani di Praglia c’era un velo di amarezza, quello di sapere che per quest’anno si è chiuso con il grande orienteering nazionale.