Spettacolo ai campionati italiani long in Valtellina

Ci sono province in Italia che, per quanto geograficamente vicine, sono comunque lontane da tutto; sia per l’assenza di comunicazioni veloci, l’orografia aspra o il disinteresse delle amministrazioni centrali, queste aree obbligano a lunghi viaggi per essere scoperte, ma, una volta sul posto, mostrano di non aver nulla da invidiare alle altre. Sondrio e la Valtellina sono una di queste zone, in quanto chiuse in ogni dove da alti passi montani, con un’unica via d’accesso più facile, ma lenta e tortuosa. L’orienteering ha a lungo ignorato questa terra, distante ore di viaggio dalle società più vicine, limitando gli accessi a poche gare, magari distanti nel tempo. Eppure, in questo primo scorcio di decennio, sta vivendo una nuova primavera. Quest’anno si sono presi la scena il fondovalle e i passi verso la Valcamonica, mentre il prossimo anno sarà il turno dell’alta valle e i valichi attorno a Livigno.

Tirano ha avuto l’onore di aprire le danze, ospitando una prova di Coppa Italia Sprint. La cittadina sorge dove la Valtellina compie una brusca svolta verso nord e, partendo dai vigneti della bassa valle, inizia la sua scalata verso sua maestà lo Stelvio, il re dei passi italiani. Le montagne si ergono ripide attorno a Tirano, incutendo ai concorrenti giunti da tutta Italia il sospetto che l’altimetria dichiarata non sia veritiera, ma la cittadina si stende pigra e gentile nel poco spazio piano concesso dai monti, ospitando una prova a tutta velocità. La tracciatura sfrutta con sapienza tutte le caratteristiche di Tirano, obbligando gli atleti a dover cambiare continuamente approccio e non abituarsi mai a quello che verrà. In questo la sprint è una disciplina così moderna alle volte: ogni punto ribalta la situazione con un colpo di scena, costringe ad adattarsi o perire nell’errore, a ristabilire il piano di azione e le esigenze.

Si parte e sembra una gara di pura velocità. Certo, alcuni isolati contorti e il multilivello obbligano a leggere con attenzione la carta, ma per il resto è solo un gioco di gambe. Poi si passa il fiume e tutto cambia. Gli ampi vialoni cedono il passo alle viuzze, i palazzi moderni squadrati si mutano in un centro storico aggrovigliato e ricco di trappoloni. Il terreno piano obbliga a correre forte, ma in ogni cantone si aprono cortili, passaggi stretti e improvvise barriere. Alle volte i passaggetti adescano voluttuosi, offrendo grandi opportunità come consumati politicanti, salvo poi condurre a vicoli ciechi dove l’ingenuità si mischia alla disperazione. Altri invece sono così piccoli e timidi che neppure li vedi, eppure sono loro i passaggi veri, quelli che portano alla gioia di aver azzeccato una scelta. Il finale cambia ancora, tornando alle tratte lunghe da correre a tutta, ma è disseminato di trappole che una mente stanca e desiderosa di finire non sempre può prevedere e disinnescare. Ma ormai si è alla fine e, dopo la 100, resta solo l’ultima curva del campo di atletica, dove lanciare le residue energie nella cavalcata che porta i più forti alla vittoria e gli altri a terminare la loro fatica.

Organizzione delle gare
La Besanese era la società organizzatrice della due giorni. Qui un dettaglio dei lavori della gestione dati all'arrivo nel campo di atletica a Tirano.

La domenica si corrono i campionati italiani e basterebbe questo per dire tutto. Si corre a Trivigno, piccolo centro immerso nelle montagne lombarde, forse ignoto ai più. Le cime lo cingono in un delicato abbraccio colmo di meraviglia, perché attraversando i suoi pascoli, le pinete di alta montagna, c’è solo sensazione di bellezza. A nord, poi, si scorge il Passo del Mortirolo, con i suoi tornanti affilati come rasoi, che hanno fatto la storia del Giro d’Italia. E, in omaggio a tanta regalità, la prova di Trivigno non poteva mostrare meno cattiveria e lesinare sulle erte spietate.

Il primo versante su cui si corre mostra subito che sarà durissima. Il terreno è zolloso, infido, sembra un campo di battaglia battuto per mesi dall’artiglieria e rivoltato sin nelle sue intimità più profonde. Incespicano anche i campioni, più volte umiliati e derisi da radici e zolle traditrici. Dietro di loro annaspano e inciampano i più deboli; ovunque si odono le imprecazioni dei master e gli sfoghi dei più giovani, ovunque borbottii e stridore di denti. In più l’orografia è incerta, confonde e disperde; la vegetazione stessa si avvolge come un’informe distesa. Prati e semiaperti, boschi e radure si confondono in un caleidoscopio di non luoghi, che spezzano le sicurezze e guardano con sadica gioia i minuti di errori compiuti dai campioni e dalle comparse. Ci si sposta dall’altra parte della vallata, ma il gioco non cambia: la montagna si diverte spietatamente nel vedere i concorrenti annaspare lunghi i suoi fianchi aguzzi, confondersi e perdersi tra le paludi e i semiaperti. La vicinanza del Mortirolo si sente; ogni rampa impone una dura scalata, infierisce sulle gambe spossate degli atleti. Non sembra esserci mai fine alle salite e le discese, comunque aspre e selvagge, finiscono in un attimo obbligando come contropartita ad una nuova parete da scalare. Infine, appare il traguardo, quasi un miraggio o il dono per i forti che sono arrivati sino in fondo: lo vedi in basso, solo una riva di buon terreno erboso ti separa dalla fine delle tue fatiche. Sei in vista di rivali e compagni, quindi devi correre, ma le energie ritornano come per miracolo, hai troppa voglia di finire l’agonia per prestare ascolto alle grida disperate dei muscoli e i borbottii dei legamenti spossati. Eppure, un’ultima carognata ti aspetta dopo la 100, quando in teoria ogni sforzo è finito e la gara è chiusa. Il terreno sinora in discesa si eleva nuovamente; in condizioni normali sarebbe quasi impercettibile, come risibile è il breve rialzo del terreno subita prima del finish. Ma dopo una long anche uno scalino diventa una montagna. Annaspano gli atleti, dal più forte al più anziano dei master. Il traguardo è lì, ma chiede un ultimo sacrificio prima di potersi gettare al suolo sfiniti.

Ancora una volta l’orienteering mostra il suo volto. Le sprint sono gare frizzanti, moderne, frenetiche: vincerle è un conto, ma chiuderle è piuttosto comodo; la long, invece, mantiene un aspetto antico, epico in un certo modo: si è soli contro la natura e i propri limiti e li si affronta un metro dopo l’altro, un punto alla volta. In città si è circondati dai rivali, dai passanti incuriositi da quegli strani personaggi che, come folli, corrono apparentemente a caso; in bosco spesso si è soli, con la sola compagnia della fatica e della propria mente che pian piano prende a vacillare; e non è detto che siano buoni compagni quando la strada riprende a salire e la montagna ti irride con i suoi semiaperti illusori come fantasmi.

Arrivo a Trivigno
Gli ultimi metri di fatica nella long di Trivigno. Anna Caglio sprinta con la vincitrice di giornata.