Si torna in Liguria per l’ultima trasferta nazionale prima della pausa estiva. Si tratta di un weekend molto speciale, perché concomitante con le prove di Coppa del Mondo a Genova, antipasto dello spettacolo mondiale che ci sarà tra due anni nella stessa città della Lanterna. La sovrapposizione tra i due eventi suscita molti dubbi di opportunità, obbligando gli organizzatori a sforzi titanici e l’evento nazionale viene senza dubbio sminuito: forse la FISO poteva pensarla meglio, ma in ogni modo lo spettacolo delle gare è stato superbo.
Il Passo del Faiallo è un valico appenninico sito a circa mille metri sul livello del mare; la strada che vi sale dalla Valle Stura attraversa paesaggi mozzafiato, probabilmente ancora più splendidi con il sole, ma agli orientisti non è data tanta fortuna. Man mano che si sale, le nuvole serrano le cime più strettamente, incombendo nere e minacciose sulla piccola carovana che sale dal Passo del Turchino. Sul colle la nebbia stringe il bosco in una morsa, lasciando ben poche speranze di una gara serena. Presso gli attendamenti al ritrovo il clima è mesto, uggioso come la giornata che vi addensa sulla selva. Il freddo improvviso contrasta con la prima afa estiva in pianura e gela gli entusiasmi di molti, ma gli orientisti convergono comunque ordinatamente verso la partenza. Per quanto il tempo non prometta nulla di buono, si è visto di peggio in passato e la paura viene presto spenta dall’agonismo.
I primi passi, però, non promettono nulla di buono: la selva è buia, cupa, intimorisce anche i più preparati. E va detto che la gara non pare neppure troppo complicata: si parte su un bel sentiero, uno di quelli che si sogna quando si è aggrovigliati nelle matasse dei verdi più ostinati. La china scende morbida; sassosa, ma mai troppo cattiva. Le forme si disegnano contorte, ma comunque chiare. Eppure, la nebbia aleggia maligna, mentre il buio risveglia ataviche paure che pian piano neppure la voglia di primeggiare tiene a bada. Si cerca quasi con conforto la presenza di altri orientisti; che le tratte siano facili oppure complesse, la vista della lanterna viene accolta con più tripudio del solito. I boschi liguri sono una guerra di trincea, dove ogni metro e ogni difficoltà tecnica vanno conquistati con tenacia e sforzo; il terreno lento obbliga gli orientisti a portare rispetto, occhi bassi quando si vorrebbe poter spaziare attorno per trovare un appiglio; i mille ghirigori del terreno, i particolari così copiosi da non essere segnati in mappa, impongono pesante dazio a chi sbaglia. La selva pare un picchiatore costante che non dà mai respiro e infierisce sui più deboli. E la nebbia e l’oscurità non mollano un metro.
Chi è partito nella prima ora deve portare questo fardello sino alla fine; corre in una cappa di buio che mette alla prova anche i più forti. I più tardi in griglia, invece, assistono al miracolo. Ti trovi, ad un certo punto, in una piccola radura, o in una delle poche zone dove il bosco pare meno cattivo; all’improvviso un raggio di sole buca la cappa nuvolosa; un secondo raggiunge il compagno; in un attimo la luce si diffonde benvenuta e amica. Per i più forti è il sole di Austerlitz, che incorona i vincitori con il suo candore, rivelando la loro inarrivabile abilità. Per gli altri è la pietà degli dèi dell’orienteering, che alla fine si sono mostrati compassionevoli verso i loro figli meno capaci. Poi, ovviamente, il rientro non è meno ostico: il bosco continua ad infierire, ora raggrumandosi in curve perfide, ora mutandosi in una costa ripida e del tutto scevra di particolari. Il finale mostra pietà, infine, permettendo di slanciarsi in uno sprint sereno, dove la gioia di aver terminato la gara illumina il viso di vincitori e sconfitti.
La sprint della domenica vale da Finale della Coppa Italia Sprint e si disputa in un’arena di altissimo livello. Campoligure è un piacevole paesino che sorge lungo il fiume Stura, scavalcato in quel punto da un pittoresco ponte medioevale. Caratteristica dei borghi liguri è la necessità di stare in spazi ristretti, pressati tra il mare e i selvaggi monti dell’interno. Non si arriva agli eccessi di Dolceacqua due anni fa, ma qui tutto è in scala ridotta. Il ritrovo è quasi pressato in una struttura che sa un po’ di gara regionale per dimensioni; lo sprint stesso è stato annodato in uno groviglio di curve per far impiegare ai più forti più di cinque secondi a superare un minuscolo cortiletto.
Dopo la partenza lo spazio si allarga per un attimo superando un ponte, poi si torna a correre nello stretto. I primi punti non sgomentano più di tanto: le vie di Campoligure sono anguste a tratti, ma regolari e pare una gara come tante. Poi la strada sale e qui si decide tutto. Il castello sovrasta irregolare il paese; vi si accede da poche aperture distanti tra loro e unite da una matassa di sentieri e scale che sconcertano anche i più forti. Lo spazio è quello che è, tanto che il cartografo ha dovuto fare miracoli per rendere tutto leggibile, impresa riuscita solo in parte, perché le linee nere dei sentieri, delle mura e delle scarpate si confondono in un tutt’uno che è difficile discernere con precisione anche seduti comodamente in poltrona. Nell’agitazione della gara tutto è più complicato, senza contare i neri nuvoloni che rendono più oscura la giornata, o la pioggia che flagella i concorrenti partiti a fondo griglia.
Nel castello si fanno e si disfanno i destini delle categorie di Coppa Italia, separando i vincitori dagli sconfitti. Le categorie più lunghe si meritano un doppio passaggio, inframmezzato da una parte centrale fisica che fa arrivare al secondo passaggio con la mente poco lucida. Pare di girare in tondo tanto il paese è piccolo e viene sfruttato dai tracciatori: gli avversari paiono sempre addosso, ti inseguono o ti sfuggono in un gioco di fantasmi, che confonde e mette agitazione. Il finale, di nuovo in paese, permette di riaprire il gas; pare quasi sospetta la facilità con cui i punti si trovano ora, tanto che più d’uno cadono quando le difficoltà principali erano state superate. Dello sprint si è già detto: pare più uno slalom che una volata; la danza tra il susseguirsi di curve ravvicinate è il giusto suggello ad una gara condotta tutta nello stretto.