Orienteering di frontiera: i vicoli della Liguria

Il castello e i vicoli di Dolceacqua
Sotto il castello di Dolceacqua si dispiega la matassa di vicoli stretti e bui.

Continua il viaggio agli estremi lembi della penisola per gli orientisti, che in questa stagione sono stati letteralmente sballottati da un capo all’altro del nostro paese. Si continua a viaggiare in quella frontiera dell’orienteering italiano, le cui piccole società sono guardate dalle poderose formazioni lombarde, emiliane e trivenete con quel sospetto che, in tempi antichi, i conquistatori bianchi dedicavano alle tribù di indigeni considerate meno civilizzate. In effetti, dopo le sfortune pugliesi col funerale partito in piena gara e gli errori marchiani che hanno ricordato il fatto che l’etimologia derivi da marchigiano, ci hanno pensato le comunicazioni liguri tardive sulla quarantena a gettare scompiglio tra gli orientisti delle società più blasonate, arrivati, ad essere onesti, nel Sanremese con un bagaglio già pieno di sfiducia.

Inciampi che non hanno rovinato, per fortuna, la bellezza delle due sprint di Sanremo e Dolceacqua, che hanno avuto arene di altissimo profilo, e il divertimento degli atleti che vi hanno preso parte; del resto, chi organizza le gare in genere non è un professionista; pertanto, il dispiacere degli errori dovrebbe nascere, in un atleta, soprattutto per l’amarezza di veder fallire chi si era messo in gioco con grande impegno. Ma sono sicuro che a ogni concorrente, mentre sale sul mezzo che lo riporterà a casa, il secondo pensiero, dopo la gioia per la vittoria o la rabbia per gli errori, vada sempre alla bellezza dei luoghi in cui si corso, qualità di cui la nostra Italia non è mai avara.

Poco più di due secoli fa, Ugo Foscolo nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” fissava a Ventimiglia il confine estremo d’Italia e descriveva le valli, che dal mare salivano verso le Alpi, come argini di altissime rupi e di burroni cavernosi, tanto da affermare come la Natura qui sedesse solitaria e minacciosa, cacciando tutti i viventi. Per fortuna oggi non ci sono più le croci dei viandanti assassinati che il poeta aveva veduto al suo tempo, ma la sua descrizione di terra aspra e selvaggia si adatta benissimo a Dolceacqua, dove si sono disputati i campionati italiani sprint. Il paese si arrampica deciso sui due versanti della valle, diritto e spietato attorno al fiume da cui deve aver avuto origine il suo toponimo. Si concede al massimo un punto e poi è salita spietata o discesa ripidissima, dove si può fare velocità solo se si è forti davvero. Allo sforzo fisico si somma il fatto che il paesino si attorciglia in una matassa di vie strettissime e continui sottopassi, tanto che in certi cantoni il buio è pressoché totale. Pare di correre in un presepe a tratti, rischiarati solo da stelline di cartone tanto è fonda l’oscurità; solo che non c’è nessuna stella cometa a guidare gli orientisti tra questi vicoli infidi, dove un errore significa metri e metri di dislivello in più. Si rifiata un secondo sul caratteristico ponte ad arco che congiunge i due lembi di paese, gustandosi una boccata di luce, e si ricomincia nella sezione occidentale. Questa volta le vie sono più larghe e non si deve più desiderare una frontale, ma il complesso gioco dei vicoli continua a confondere e smarrire. Gli orientisti si sparpagliano, si urtano, annaspano sulle scalinate senza trovare pace sino alla fine. Chi ha vinto oggi si è guadagnato davvero l’alloro, mentre gli sconfitti, per quanto possano recriminare, devono tutti avere almeno l’onore delle armi, perché la loro è stata davvero una difficile lotta vicoletto dopo vicoletto.

Lancio della staffetta a Sanremo
Lancio della staffetta M/W 17. In prima fila, per i colori Besanesi Silvia Di Stefano e Nuria Merlo.

Si cambia musica solo all’apparenza il giorno successivo; ed è giusto parlare di musica perché l’arena sorge appena davanti ad uno dei luoghi più famosi della cultura popolare. Il teatro Ariston di Sanremo non avrà l’eleganza e la nobiltà della Scala, né l’augusta presenza di altre arene, ma ha contrassegnato decenni di storia della musica leggera italiana moderna. E alla sua presenza si è dipanato lo spartito di una sprint relay di grande pregio. Si parte con un allegro andante nelle vie larghe della città bassa, ma anche oggi ci si mette un attimo solo a veder cambiare pelle alla gara. La Pigna di Sanremo è un quartiere di piccoli vicoli attorcigliati e stretti, adattissimi all’orienteering, dove anche i più forti devono chinare il capo all’errore. E, fatto ancora più rilevante, sale dritta come un fuso perché la Liguria ha questa caratteristica: i suoi monti vanno a gettare i piedi direttamente in mare. La prima scalata è affrontata con rispetto, ma tutto sommato con energia; certo la mente nella successiva discesa condita di vicoletti è un po’ annebbiata, ma quando si torna in basso e si giunge al punto spettacolo, parrebbe che il grosso sia andato e possa partire il gran finale. Invece no: è prevista una seconda scalata, dove, questa volta, ogni cuore deve piegarsi. I più forti zampettano sempre potenti, ma sono allo stremo; gli scarsi, invece, si trascinano sfiniti e sfibrati; tutti comunque arrivano con le energie al contagocce. Tanto più che oggi si corre la sprint relay e sulle spalle si deve portare il peso degli errori propri e dei compagni e, ogni istante ceduto va a sommarsi al fardello che si passerà allo staffettista successivo. Questo pensiero sconforta quando la matassa dei vicoli danza attorno a noi, dedicando uno sberleffo alla scelta poco oculata; questo pensiero tormenta quando l’ennesimo gradino del weekend piega gambe sfinite e l’avversario, baldanzoso, fugge via; questo pensiero sostiene nell’ultimo tratto, quando il cuore è a mille, ma si alza il ritmo per guadagnare quel secondo che il compagno magari getterà via al punto uno per un’indecisione. In queste gare si vince e si cade assieme: ed è una lezione che fa sicuramente pensare. Hai cambiato tra i primi, ti sei superato, non hai sbagliato una scelta, ma se il compagno poi naufraga, crolli anche tu dall’alto della tua prestazione superba. Lo sport è spietato alle volte, forse perché è una rappresentazione molto sincera della vita.