Sono la pioggia e il fango i principali protagonisti della due giorni di orienteering ospitata dai boschi di Bellamonte. Ciononostante, dopo la selva oscura di Archeton, con il suo orienteering di logoramento tra i sassi e le doline, questa volta c’è l’opportunità di sprigionare tutta la velocità, almeno per chi ne ha. Il bosco alle spalle del piccolo villaggio trentino pare un tappeto per le gambe ancora memori delle sassaie del Cansiglio, delle sue aspre e contorte forme di terreno.
In particolare, la middle del sabato, che si svolge tutta sulla parte bassa della mappa, esalta le doti di velocità e precisione. Su un terreno che ricorda quelli scandinavi, anche per l’abbondanza di paludi che le piogge dei giorni precedenti hanno ingrandito, ci si appiglia alla bussola per giungere diretti al punto. Ovunque il terreno si muove in piccoli rilievi, che difficilmente danno sicurezza a chi cerca un faro, quando l’evidenza dell’errore ti assale come una burrasca in alto mare. Ogni punto è una sfida ad offrire la massima precisione, cosa non scontata in un mondo dove siamo investiti da mille stimoli e perdiamo in fretta la concentrazione. Ecco, la gara middle di Bellamonte esaspera la realtà, mostrando cento particolari non necessari che distraggono e confondono; bisogna guardare dritti all’essenza delle cose e poi mantenere la rotta, mentre ogni cosa attorno ci strattona e induce a deviare dalla linea migliore. Ma la concentrazione va mantenuta sempre, perché ogni piccolo dosso, ogni gruppo di alberi, ogni zolla fangosa complottano per deviare la corsa dalla migliore traiettoria: continuamente bisogna ricalcolare tutto con la rapidità di un computer, intuire le microdeviazioni, scartare i particolari inutili e appoggiarsi ai pochi riferimenti davvero fidati. E tutta questa fatica, magari, per incespicare in zona punto e vagare per minuti nel nulla. Non è più orienteering, ma rappresentazione di vita vera: compi tutto alla perfezione, ma poi commetti un piccolo errore e perdi inesorabilmente ogni cosa.
Questo difficile esercizio, inoltre, va eseguito nel fango che ovunque imperversa. Si alza la testa e si scorge un’ampia radura che parrebbe l’ideale per una bella galoppata verso il punto successivo, ma subito l’invitante prato si tramuta in una palude infida, dove si sprofonda e si deve lottare duramente per mantenere il passo. Così passaggio dopo passaggio, nel corpo di ognuno si vivono attimi drammatici. I muscoli reclamano nuove energie, facendo la voce grossa minacciando di mollare e far naufragare la gara che stava andando tanto bene. Gli occhi inondano con continui stimoli, che, faciloni come al solito, non si prendono cura di selezionare e catalogare. Il cuore e i polmoni affaticati esasperano le loro difficoltà chiedendo di fermarsi a riposare. Così nel cervello diventa impossibile lavorare: bisogna privarsi delle energie da mandare a quei pretenziosi dei muscoli, esaminare i particolari che gli occhi scansafatiche non si sono curati di dettagliare, calmare gli ansiosi organi che credono di andare in collasso ogni due per tre. E chiaramente bisogna dire alle gambe dove andare, alle braccia di scostare i rami e alla schiena di piegarsi per passare sotto un tronco. È in questa confusione che nascono gli errori e si perdono le gare.
La long della domenica a queste difficoltà aggiunge il dislivello e intere aree di tronchi abbattuti in cui correre e orientarsi diventa impegnativo. Di sicuro non è stato semplice il lavoro del tracciatore, costretto ad escludere ampie zone di mappa a causa delle aree di foresta abbattute dalla tempesta del 2018 e, inoltre, per garantire discrezione ai colloqui d’amore dei galli cedrone. Nonostante questi limiti viene fuori una long molto piacevole, con una prima parte lungo le piste da sci e una seconda sulla mappa del giorno prima, almeno per le categorie più lunghe. A differenza del sabato si affaccia con prepotenza la pioggia, che per lunghi tratti flagella i concorrenti e rinvigorisce sempre più i tratti paludosi.
La partenza in salita è ormai il tradizionale avviso di prepararsi ad una giornata non semplice, almeno sul versante fisico. Infatti, la prima parte di gara, lungo i versanti scoscesi sopra Castellir, mira soprattutto a sfiancare i concorrenti con improvvise rampe e una difficile corsa in costa, che toglie energie anche ai migliori. A complicare la vita ci pensano soprattutto i semiaperti che confondono, ma tutto sommato il primo atto scorre via tranquillo. Viene subito dopo il momento peggiore: nel collegamento con la mappa del giorno prima, si apre un bosco roccioso e infarcito di alberi abbattuti, che limitano gli spazi di manovra e obbligano ad ampi giri che mandano in confusione più di un concorrente. Gli orientisti devono manovrare tra rami e tronchi spezzati, che rendono difficile il lavoro a chiunque. E di certo non aiuta i derelitti scorgere di tanto in tanto un elite di quelli forti, che anche tra tanto schifo pare danzare sul terreno. Arriva, fa il suo show di abilità ginnica e sparisce, lasciandoti solo con tanto senso di inferiorità che non aiuta di sicuro a trovare il punto successivo. Usciti da questo tratto un altro ostacolo è volto a spezzare quelli rimasti ancora a secco di errori: va guadato un torrente incassato in fondo ad una fossa ripida e implacabile. Scendere lungo le rive fangose mette a prova l’agilità di tutti, mentre risalire manda fuori giri: è in momenti come questi che gli ozi del lockdown battono più duramente i corpi inflacciditi dalla mancanza di allenamento. Per il lungo loop finale si rimanda a quanto detto per il giorno prima, con la differenza che la pioggia rende tutto più grigio e confuso, così che il gioco di precisione da ingaggiare con il bosco è una lotta disperata. Il finale, una volta guadato nuovamente il maledetto torrente, è una lunga salita, tra cui anche i fortissimi devono cedere e camminare almeno per qualche tratto. La carovana di orientisti sfiniti si sparpaglia lungo l’infinito versante finale: per chi ha superato indenne tutti gli ostacoli precedenti questa è la scalinata che porta al paradiso di una vittoria; mentre per tutti gli altri è un eterno, impietoso calvario.