Mantova: sprint veloci tra i capolavori rinascimentali

(di Andrea Migliore)

L’orienteering sarà anche uno sport di nicchia, ma ogni tanto riesce a prendersi dei traguardi da primo della classe. Piazza Sordello a Mantova ha tutte le prerogative per donare un quarto di nobiltà alla prima gara stagionale di Coppa Italia. Fa da spettatore all’arrivo la mole massiccia del Palazzo Ducale, severa testimonianza di un periodo in cui la penisola italiana seppe lavare i puerili dissidi e le divisioni insensate, ergendosi a suprema guida dell’arte. In realtà i capolavori di una delle tante culle del Rinascimento avevano già accompagnato gli atleti tratta dopo tratta. Praticamente dai primi punti si corre in mezzo ai capolavori architettonici. Prima la Basilica di Sant’Andrea, poi la Rotonda di San Lorenzo, quindi il Duomo e ovviamente il Palazzo Ducale. Ogni concorrente, dall’impacciato esordiente all’élite fuoriclasse può dire, a buon diritto, che dall’alto di quei palazzi cinque secoli di storia lo hanno guardato correre. Forse la concitazione di una sprint non è il modo migliore per ammirare i tesori culturali di una città, ma punto dopo punto è quasi impossibile non gettare uno sguardo commosso alla bellezza che è tutta attorno.

Si parte presso le mura e il Mincio che scorre placido, mentre i mantovani passeggiano tranquilli lungo le rive del fiume in questa bella giornata che profuma già d’estate. Il luogo della partenza è un grigio parcheggio battuto dal sole, sito presso un’apertura delle mura così stretta da negare ogni visuale ai concorrenti, come se non si volesse concedere nessun suggerimento. È uno scenario questo che viene sconvolto subito dopo la partenza. Perché la parola d’ordine della giornata è velocità: in assenza di tecnicità particolari e qualsivoglia dislivello, questo resta. Presa la carta e trovato il triangolo con sguardo concitato, non ci si ferma più. I concorrenti fendono le strade del centro cittadino come saette perché in prove come questo non va lasciato neppure un secondo per strada, visto che la tecnica può davvero molto poco, almeno tra i più forti. Punto dopo punto si corre al massimo, facendosi largo tra la folla, avvolti però da quinte di altissimo pregio.

Va anche detto che, talvolta, la scenografia serve a nascondere la pochezza della trama, come quei film fragili che poggiano totalmente sugli effetti speciali o sulla fotografia. Perché dal punto di vista tecnico la sprint cittadina non può essere definita memorabile. Va detto che i momenti di massima gloria di Mantova non hanno coinciso con architetti particolarmente sensibili alle esigenze dell’orienteering. La pianta da città romana con quelle vie larghe e dritte è la mortificazione della gara tecnica; e ovviamente l’impianto rinascimentale non ha aiutato a causa di quelle idee di prospettiva e disegno classico che vanno bene al massimo per la categoria esordienti. Ma anche senza la matassa di vicoli medioevali si può tirare fuori una prova di tutto rispetto. Invece questa volta ci si deve accontentare di una prova in tono minore: molti tratti di trasferimento, poche le scelte e quasi mai decisive; si poggia tutto sulla difficoltà di leggere alla massima velocità, ma non può essere sufficiente. Certo che le premiazioni lungo il Mincio, con le torri e le cupole della città sullo sfondo, regalano un momento di emozione che addolcisce il rammarico per una prova un po’ scialba.

Filosofia che non cambia molto nella prova del sabato, valida per lo Sprint Race Tour. Si corre appena a sud dell’altra gemma di Mantova: Palazzo Te. I parchi cittadini non possono offrire in genere tracciati di tecnicità estrema, soprattutto in presenza di un tracciato regolare di sentieri e alberi sparsi e poche siepi o altri ostacoli naturali. Risulta una prova velocissima, con punti ravvicinati che obbligano ad una lettura rapida e precisa. Pare di correre continuamente su ponti strettissimi sopra il vuoto, perché basta una deviazione anche piccola, la distrazione di un attimo e si perdono quei secondi che pesano come macigni nel computo finale. Tutto molto bello ma, per chi ha ancora negli occhi il labirinto di Martina Franca, resta un po’ di delusione.

Inizio scintillante per i colori bianco-rosso-blu, con i suoi numerosi atleti che cercano di fare la voce grossa in tutte le categorie. Non sempre ci riescono, leggasi la lunga sfilza di medaglie di legno nei due giorni, soprattutto nelle categorie master, o qualche PM di troppo tra i giovani. Ma la classifica per società parla chiaro: dopo la prima giornata la Polisportiva Besanese conduce ovunque. Fa eccezione soltanto la categoria assoluti, dove si è secondi soltanto per un’incollatura.

Balza agli onori della cronaca la doppietta delle WE nella gara della domenica, con Eleonora prima dopo una prova maiuscola e Anna che conquista il bronzo praticamente sulla linea d’arrivo: è un solo secondo a separarla dalla quarta, ma il tempo è questa volta galantuomo perché era stato lo stesso distacco a negarle, amaramente, il podio il giorno prima. Ma non possono essere dimenticati i numerosi piazzamenti tra i giovani; tra tutti Bianca sul podio in W20 in entrambe le gare e Silvia che vince in W12 nel centro cittadino di Mantova. Tra i master in pratica non esiste categoria dove i bianco-rosso-blu non siano stati protagonisti; qualche volta sul gradino più alto, come Anna che non lascia molto alle rivali in W60, altre volte fermandosi subito a ridosso. Passano in sordina soltanto i maschi élite, categoria per cui l’infermeria era comunque molto piena per aspirare risultati di prestigio. Ci si aggrappa ai piazzamenti da top 15 di un bravissimo Cesare, poi si scorre fino al trentesimo posto. Ma, in ogni modo, la testa della classifica è subito acquisita con il contributo di molti. Perché non basta poggiare su due o tre fuoriclasse per vincere: sono la coesione e la compattezza la vera forza di una squadra.

La squadra al completo
Eleonora Donadini e Anna Caglio, rispettivamente prima e terza in categoria W Elite