Primiero week: si corre in Paradiso

(di Andrea Migliore)

Estate: tempo di cinque giorni. Tempo di correre con meno assillo del risultato, tempo di farsi guardare strano dai conoscenti non orientisti che ti chiedono, con sincera preoccupazione, perché impiegare le poche settimane di ferie a sgobbare tra boschi e prati di alta montagna; oppure, se proprio la località è di mare, chi te lo fa fare di correre ad oltre trenta gradi in qualche pineta quando a due passi c’è una comodissima spiaggia in cui riposare.

L’Italia non avrà il nome dei grandi appuntamenti nordici, quasi arroganti con le loro startlist di altissimo livello e i terreni ipertecnici, ma sa offrire paesaggi e borghi che ammutoliscono a prescindere gli stranieri; senza contare, naturalmente, che anche l’umile ristoro offerto dagli Alpini è in grado di dare parecchi punti ai maldestri tentativi culinari d’oltralpe.

Quasi ogni regione è in grado di ben figurare in questi appuntamenti, ma c’è una valle che sa offrire il giusto mix tra paesaggi mozzafiato, mappe perfette dal punto di vista tecnico e un’accoglienza da prima classe. Primiero è forse l’unico posto d’Italia in cui l’intera popolazione non reagisca alla parola orienteering con volti dubbiosi o, tra i meglio informati, con associazioni alla caccia al tesoro. Viene anche da dubitare di essere in montagna, visto che l’accoglienza gentile degli abitanti non coincide per nulla con il classico montanaro burbero e sospettoso. Anni e anni di attività ad alto livello hanno poi forgiato un’organizzazione rodata, cortese ed efficiente e lasciato in dote mappe di tutti i tipi in grado di accontentare i più difficili.

Ma la cinta di monti, le verdi vallate che degradano verso il fondovalle ammantate di pini e spiazzi erbosi, i laghetti incantati in cui si riflettono le maestose pareti dolomitiche, danno l’impressione di correre in paradiso. Qui ogni mappa ha la sua personalità e non può deludere. San Martino di Castrozza è il romanzo classico, perfetto nella sintassi dei punti e ordinato nella costruzione delle tratte; ogni difficoltà è al suo posto e, per quanto non ci siano particolari colpi di scena, disanima i maggiori problemi orientistici con l’abilità dei grandi. La Val Venegia è il romanzo d’amore, perché solo questo sentimento può sgorgare in una vallata solcata da un torrente d’argento e incastonata tra montagne di indicibile bellezza; il terreno pare soffice come braccia d’amante e le curve del terreno ammaliano come un sorriso innamorato. Non che sia facile, ovviamente: non tutte le storie d’amore hanno un lieto fine; a volte un avvallamento tradisce, la gelosia sorge spontanea quando uno scandinavo pare volare nelle paludi che gli ricordano casa e in cui tu arranchi incerto; ma non di meno è impossibile uscirne indifferenti. Passo Valles è altissima poesia nel suo apparente spoglio paesaggio d’alta quota. Cantano le montagne, intorno, degli eroi dal multiforme ingegno che non vagarono affatto tra le spolverate di massi e i pendii ripidi, e molta fatica patirono per riportare la vittoria in questa arena creata per gli dei. Incombono, più in basso, le selve selvagge e aspre, tanto ripide e piene di massi infidi tanto che sorge spontanea la paura. La Val Canali è il dramma finale, coi suoi pendii ripidi come rasoi e dai dislivelli inflessibili che piegano le gambe degli orientisti stanchi dopo quattro giorni di fatiche. Si soffre andando in partenza, mentre il sentiero, si drizza sempre di più; si soffre quando si guarda verso il basso pregando che i chiodi tengano su quelle pendenze, si soffre tra i pietroni della parte finale che complicano tutto quando la mente non più lucida chiede soltanto pietà.

Eppure, sono pronto a scommetterci, anche se è uscito dalla cinque giorni a pezzi, anche se tra i mille sassi del Valles non ci ha capito più niente, ogni orientista, rincasando, ha dato un malinconico addio a questa splendida valle, perfettamente soddisfatto di aver speso le sue poche ferie scegliendo di venire qua.

Alla fine della manifestazione arriva un solo podio per i colori bianco-rosso-blu: il terzo posto di Silvia in W12. Ma vista la nutrita presenza di agguerriti stranieri non si poteva davvero fare di più. In tutte le categorie i presenti hanno lottato su erte ostili e dipanato le tratte più insidiose. Tra gli alberi abbattuti di San Martino, le pietraie del Valles fino alle rampe assassine della Val Canali, i besanesi presenti hanno messo nel motore chilometri di tratte tecniche e un prezioso allenamento in quota che tornerà utile quando arriveranno i grandi appuntamenti italiani di fine stagione.

Non si può tacere, però, di due straordinari successi ottenuti in eventi collaterali alla cinque giorni che riempiono di orgoglio. Sabato 6 luglio si correva la Primiero Dolomiti Marathon, gara di 26 o 42 km in alcuni degli scenari più belli dell’intero arco alpino. Le Pale di San Martino, con le loro guglie millenarie di grazia maestosa, e il lago di Calaita, gemma azzurrina in cui le cattedrali di pietra si rinfrangono splendide, sono state le spettatrici della vittoria di Anna sulla distanza di 26 km. Vittoria è però un termine eccessivamente modesto, perché la sua corsa leggera l’ha portata ad uno straordinario trionfo, relegando la seconda avversaria ad oltre otto minuti e mettendosi alle spalle anche quasi tutti gli uomini. Passa solo un giorno e arriva un altro successo: questa volta è Irene a prendersi la O-Marathon nello splendido scenario di Passo Coe. Ancora lunghe distanze, questa volta condite anche delle difficoltà tecniche di una normale long. Ma questa particolare gara non è davvero per gli insicuri, perché presenta tratte che atterriscono per lunghezza: qui non basta saperci fare con bussola e mappe, ma anche avere una costanza fuori dal comune. Due vittorie in gare diverse, ma accomunate dalle stesse qualità richieste per vincere: la capacità di soffrire per lunghe tratte, l’abilità di non mollare quando ogni singola fibra del corpo chiede pietà, la forza di volontà di andare avanti nelle difficoltà cose che, in altre circostanze della vita, mostrano chi è grande per davvero.