(di Andrea Migliore)
Certe volte le situazioni migliori capitano quando meno te le aspetti. Ed è così che il sud Italia sorprende, una volta ancora, gli orientisti calati alla spicciolata dal nord portando nel bagaglio, oltre a bussola e sicard, una buona dose di timoroso e supponente scetticismo. Erano venuti sicuri di sogghignare di fronte ad un’organizzazione approssimativa e impreparata; incerti sull’effettivo valore di quelle gare tanto a sud; fiduciosi solo di godersi almeno una vacanza al mare. In verità non era la prima volta che si correva a queste latitudini; e le altre volte non era andata affatto male. Due anni fa si era corso in scenari come Paestum e la Reggia di Caserta, gemme tali da rendere secondaria la tracciatura della gara di fronte al loro splendore. Neppure nove mesi fa si era scoperto il labirinto barocco di Martina Franca e la sorpresa spiazzante dei semiaperti e dei muretti del Parco delle Querce. Ma si trattava sempre di qualcosa di noto: ora la novità di una regione totalmente nuova come la Calabria sgomentava e insospettiva. Le sorprese sono tanto più belle quando sono inaspettate.
Orsomarso è un piccolo borgo perduto in una gola dell’interno, una valle aspra e selvaggia. È un borgo come ce ne sono migliaia in Italia, e che se fosse in mani francesi o scandinave, abituate a molto meno, verrebbe venduto come se fosse Firenze o Roma. Si arrampica lungo il crinale, mettendo qualche apprensione per il dislivello, e ha una sua bellezza suggestiva per quanto in parecchi punti sia diroccato o, almeno, trascurato. Tuttavia non sembra nulla di che, tanto che gli orientisti si preparano sereni sotto gli sguardi dei vecchi del paese, che non riescono a decifrare esattamente chi siano quei figuri che si aggirano in calzoncini sotto casa loro. Ma quando lo start smette di bippare e si prende in mano la mappa, il cuore di tutti si ferma un attimo. Che cos’è quell’intrico di vie, anzi di vicoletti, che a malapena si legge. Che abbiano dato una mappa al diecimila? No, i punti arrivano subito … per quanto gli spazi tra gli edifici si vedano appena, per quanto sia praticamente impossibile leggere la mappa correndo al massimo della velocità … no, non è uno scherzo, ma semplicemente una durissima prova. E così si va avanti, appigliandosi frenetici alla mappa, cercando con disperata foga i pochi punti di appoggio, sia anche solo una fontana o un muro non attraversabile. Passo dopo passo subentra l’ansia di smarrire la via e perdersi in quella matassa di vicoli; aumenta la vergogna di fermarsi dopo il punto per guardare quello successivo, cosa che si fa talvolta in bosco, che si faceva da esordienti. Ma poi vedi i forti élite esitare, curvi anche loro sulle mappe, dubbiosi, incerti e capisci che oggi è semplicemente difficile per tutti. A questo si aggiungono le scalinate. Sono le assolute padrone del borgo, tanto che spuntano ovunque: larghe, strette, ripide, morbide. Ma una caratteristica le accomuna tutte: gradino dopo gradino spezzano il fiato, tolgono lucidità, rallentano le gambe che vorrebbero correre per recuperare il tempo perduto ai punti mentre le attende soltanto un’altra rampa su cui soffrire. Le prossime sprint dovranno impegnarsi molto per uguagliare il livello raggiunto da questo.
Piani di Novacco, invece, è un piccolo altopiano perso nell’entroterra più selvaggio. Attorno chilometri e chilometri di nulla: al massimo strade strette e capanne diroccate di pastori. Gli orientisti giunti dal nord si attendevano probabilmente un’aspra terra brulla e assolata: le loro aspettative sono state completamente stravolte. Forse qualche magia ha strappato una faggeta delle Alpi portandola tanto a sud. Il sottobosco è tanto liscio e inesistente che pare un prato all’inglese; qua e là sono mappate piccole macchie di verde uno, ma probabilmente sono lì per far vedere che non si tratta di un allenamento solo curve di livello. Addirittura quando si entra in quel bosco delle meraviglie si abbandona il caldo torrido e si viene investiti da una piacevole frescura. Parrebbe una copia spudorata del Cansiglio, ma il bosco calabrese ha una sua fiera dignità e mostra una personalità differente: così al bosco bianco si alternano i prati che offrono sempre un aiuto prezioso nel nulla di questo candore. Ne viene fuori una gara di rara bellezza, tosta senza essere cattiva o troppo facile, brava ad alternare scelte di percorso a zone di orientamento fine. La strada che serpeggia ad est richiama il più antico assillo dell’orientista: se sia più nobile andare lungo la linea e soffrire il dislivello e le incertezze della lettura o prendere la via semplice e, facendo più strada, non rischiare di sbagliare. Qualcuno va fuori giri, altri sono più bravi, ma sorprende quanto sia pulito questo bosco: né un rovo, né cunette infide, appena un po’ di erba alta in qualche prato. Anche le regioni più dimenticate sanno offrire un grande orienteering.
Weekend prezioso per gli atleti besanesi che riportano la loro formazione in testa alla classifica di società, in quello che sino alla fine sarà un appassionante sfida a tre. A tirare la volata ci pensano soprattutto Gianluca, Silvia e Annamaria che, tanto per non scontentare nessuna delle due gare, si impongono in entrambe le giornate. Ma non si contano i piazzamenti nelle altre categorie, tanto che i bianco-rosso-blu guidano anche la classifica veterani, sono secondi in quella assoluti e appena a ridosso del podio tra i giovani. Nonostante si corresse lontano da casa, la folta partecipazione mette molto fieno in cascina e permette di andare ai prossimi appuntamenti senza l’assillo di dover inseguire.