(di Andrea Migliore)
Ci sono giornate in cui ogni concorrente, che si copra di gloria o arrivi ultimo, deve essere fiero di sé stesso. È una frase logora e abusata, viene da dire, la solita noiosa e trita retorica, ma poi vivi giornate come i campionati italiani staffetta nel Parco dei Sassi Simone e Simoncello e ti accorgi che, ogni tanto, può anche essere la verità.
Se vissuto sotto il sole, il weekend dei campionati middle e staffetta sarebbe stato il regno dell’azimut e della velocità. L’ampia cerreta, leggermente declinante verso l’austera base militare della Folgore, mostra il volto dei grandi giocatori di poker. Il terreno è liscio, il bosco apparentemente dimesso tanto che a vederlo da lontano lo diresti cosa da poco: ampi spazi bianchi e curve ben distanti tra loro a promettere fatiche non eccessive. Poi ci capiti di fronte e inizi a dubitare. La foresta, spogliata delle foglie da una primavera in ritardo, sotto un cielo plumbeo e carico di pioggia, ti fissa spettrale coi suoi cento e cento alberi spogli e di colore cupo. Ci entri facendoti coraggio, ricordando degli ampi spazi bianchi che hai sbirciato su qualche vecchia mappa, rassicurato nel vedere il sottobosco basso e la visibilità ottima. Ma è solo efficace dissimulazione. Preso il via, ti trovi a correre fiducioso, leggero, sulla dolce pendenza. Ed è lì che te ne accorgi. D’un tratto ti ritrovi in un tratto in accennata discesa; vedi lontano, è vero, ma non scorgi altri che alberi e quella pendenza, sempre uguale. Attorno a te ci sono cento canalette, di cui forse una mappata. Non ci sono massi, sentieri, carbonaie. Non ti viene fatta neppure la carità di un piccolo avvallamento. Ti affanni a voltarti in ogni direzione cercando il luccichio arancione della lanterna o, perlomeno, un particolare, anche minimo, che ti aiuti. Ed è allora che capisci che sarà molto dura.
Si procede imbracciando la bussola con il fervore che l’uomo pio pone nelle reliquie; ti voti totalmente ad essa. Le piccole oscillazioni di quell’ago strappano gemiti di terrore. Corri veloce, questo sì, ma nel petto si agita una paura senza nome. Metri e metri di bosco tutto uguale scorrono dietro di te, elabori mille congetture sperando che il masso o la leggera rientranza sia davvero quella segnata in mappa. Alle volte è quasi un tiro ai dadi: avanzi fidando in ogni stilla della tecnica che hai appreso e speri che la tua corsa ti porti preciso al punto. E quando questo compare, al termine di una tratta lunga, vorresti quasi inginocchiarti e levare una preghiera. Hai avuto fede ma hai anche dubitato mentre correvi, hai avuto il libero arbitrio di sbagliare ma hai sperato in ogni passo nella provvidenza degli dei della bussola. In giornate come questa l’orienteering si fa religione.
Se c’è una cosa che gli ultimi anni hanno insegnato, è che non bisogna mai pianificare attività all’aperto il giorno dei campionati italiani staffetta: perché per il terzo anno di fila si corre in una giornata da tregenda. Quest’anno poi il maltempo ha voluto superarsi. Non bastava la pioggia o il vento o il freddo: a tratti picchia cattiva anche la grandine. Il cielo che aveva illuso un poco nelle prime ore della mattinata, di colpo diventa nero come la pece e scarica pioggia a profusione, a momenti con forza indicibile. I primi frazionisti vengono assaliti dagli scrosci e dalla grandine mentre sono nel bosco e, di colpo, la loro prova diventa durissima. Chi attende al cambio viene sorpreso mentre si sta scaldando, magari già in maglietta, e il freddo inizia a penetrare nelle ossa. In un amen il prato del ritrovo diviene un pantano e rende difficile a tutti l’attesa o il recupero dopo quaranta-sessanti minuti sotto il diluvio in gara.
In bosco intanto è il caos. Passi per il diluvio e la grandine che sferzano i concorrenti, ma la geografia stessa del luogo è sconvolta: le canalette sono promosse seduta stante a ruscelli mentre quelli che già erano corsi d’acqua, insignificanti il giorno prima, diventano di colpo fiumi in piena. L’acqua scorre impetuosa, grigia come il cielo che sopra le teste non cessa il suo sadico gioco; i guadi sono spariti ormai, sostituiti da avventurose traversate dove, di tanto in tanto, bisogna lottare contro la forza della corrente e il rischio di scivolare. Ovviamente la mappa non si può aggiornare e il bosco, già di per sé sornione, si diverte ora ad irridere i concorrenti obbligandoli ad indovinare quali fiumi fossero tali e quali fossero semplici canalette. Si procede lo stesso: acqua che piove dall’altro, acqua che infradicia del basso. La temperatura è di colpo calata e punisce chi, troppo baldanzosamente, è partito con appena una maglietta. Ma non che giacconi o impermeabili aiutino troppo chi attende il cambio al ritrovo. La pioggia non cala d’intensità e in un attimo tutti si ritrovano inzuppati e infreddoliti.
Eppure quasi nessuno si tira indietro. Sotto le tende è un crescendo di imprecazioni e lamenti, ma quando il cambio chiama ognuno risponde presente. Ci si fa avanti, sfilandosi quei vestiti che sono stata sinora vana protezione, ma che in corsa sono soltanto impiccio, ci si espone alle intemperie, si prende la mappa e si va. La pioggia ha il vantaggio di essere democratica: sferza il più forte élite, come l’ultimo esordiente, ma in questo giorno il coraggio mostra di essere disgiunto dal talento. In tanti, dopo aver coraggiosamente lottato, alzano bandiera bianca, mentre altri, in genere comparse, si ergono fieramente fino all’ultimo punto. Mette una certa curiosità osservare i mille volti dell’orienteering non sottrarsi alla sfida: non si tirano indietro i ragazzi, non cedono i master anche delle categorie che non avrebbero più nulla da dimostrare, lottano gli élite che siano in lizza per il podio o per la semplice sopravvivenza. Molti di loro pagheranno a carissimo prezzo tanto coraggio, visto che lo sforzo fisico profuso chiederà dazio nei giorni dopo, ma nel complesso è una di quelle giornate folli e assurde in cui si è fieri di essere orientisti.
È un weekend di grandi emozioni per i colori bianco-rosso-blu, nel bene e nel male. Resterà a lungo nella memoria dei bei ricordi lo sprint finale di Anna, che la porta a laurearsi campionessa italiana middle in WE. Ad accompagnarla nella picchiata verso il traguardo, Eleonora, quarta dopo una gara macchiata da qualche imprecisione nella parte centrale. Indubbiamente la grinta della comasca, desiderosa di non farsi passare nel finale, è stato il migliore sostegno per Anna nella parte finale da spingere da tutta, ma è stato quasi inutile in quanto la neo-campionessa ha semplicemente giganteggiato, volando punto dopo punto e demolendo le rivali con distacchi pesanti.
Ma i campionati italiani middle sono stati forieri di altri successi per la compagine brianzola. Intanto notevoli i podi di Matteo, secondo in M18, e Angelo, terzo in M20; il primo capace di lottare per il successo quasi fino alla fine, il secondo autore di una gara in rimonta dopo un inizio difficile. A podio tra i master, anche Simone, secondo in M40 e Stefano e Gianluca, terzi in M50 e M55. Ma per Simone l’argento vale però come titolo italiano, visto che davanti a lui c’è soltanto un atleta svizzero, nonché e l’onore di essere il primo degli umani considerati i distacchi d’altri tempi inflitti dal vincitore. Tre piazze d’onore anche tra le ragazze, con i secondi posti di Silvia in W12, di Cristina in W55 e di Annamaria in W60. E sono sempre le ragazze a piazzare l’altra vittoria bianco-rosso-blu di giornata, grazie a Laura che in WB non lascia alle avversarie neppure le briciole imponendosi in tutti gli intertempi.
Nella giornata da tregenda vissuta durante la staffetta tutti gli occhi erano puntati sul tridente d’attacco in WE, accreditato tra i favoriti dopo la prova di assoluto spessore del giorno prima. Per come sono andate le cose l’amarezza prevale, ma niente potrà far dimenticare la grinta di Eleonora che pronti via prende la testa della corsa, ammutolendo le rivali, per non lasciarla più; né il coraggio di Anna che lotta per cinquanta-sessanta minuti contro la pioggia e la grandine, le avversarie che rientrano e il freddo che la sfinisce ma non la induce a mollare sino all’ultimo metro; né il cuore di Irene che si lancia ad una disperata rimonta contro il fior fiore dell’orienteering italiano. Purtroppo l’orienteering è uno sport meraviglioso, ma subdolo, per cui basta un piccolo errore a privarti di tre ore di generosissimi sforzi. Il PE delle ragazze della WE viene in parte riscattato dal carattere dei maschi in ME che portano tre staffette nei 20, lottando su ogni fradicio centimetro di bosco. Da notare il settimo posto di assoluto spessore della staffetta composta da Cesare, Angelo e Matteo che si ferma davvero ad un passo dalla migliore aristocrazia dell’orienteering italiano. E poi spunta il podio che non ti aspetti: se le WE hanno compiuto un inaspettato passo falso, brillano invece le loro eredi in W20: Gemma, Angelica e Bianca portano a casa un terzo posto tanto bello perché inatteso e meritano solo applausi.
Ci pensano i master over 55, invece, a portare le vittorie. Tra i maschi esultano Alessandro, Angelo e Gianluca, mentre al femminile vincono Cristina, Annamaria ed Anna. Entrambi i terzetti si impongono con una prova molto simile: si regge in prima frazione tenendo i rivali a tiro, per poi scatenarsi nelle successive e prendere il comando per non lasciarlo. A podio va anche la M35 con Giuseppe, Simone e Stefano, autori di una grande rimonta in una categoria davvero combattuta.