(12-13 settembre 2020)
I monti della Val Primiero sono abituati a gustarsi, dall’alto delle loro guglie di pietra, lo spettacolo dell’orienteering, le gesta dei campioni e gli errori delle comparse; a percepire la gioia della tratta perfettamente riuscita e la frustrazione di quella sbagliata. Ma in questo folle 2020, la tensione che si percepiva alle prime partenze dei campionati italiani sprint deve aver sorpreso anche loro. Dopo i cupi mesi di quarantena, le angosce ancora non sopite della pandemia, ogni orientista è giunto a San Martino portando una sua personale storia; talvolta tragica, più spesso fortunatamente solo malinconica e annoiata; comunque correlata a sensazioni negative di fronte ai lutti e agli incerti di un futuro fosco e nero. E, finalmente, ognuno di loro è potuto a tornare alla sua passione, gustando in un weekend di necessaria distrazione un sorso di normalità. Forse questi mesi ci porteranno miglioramenti, ma è crudele e ingiusto bollare come sbagliato quello che, prima, si amava fare.
In questi mesi, per chi ha avuto la fortuna di non dover piangere persone care, è stata la socialità la perdita più grave. La tecnologia ci ha fornito il surrogato di voci al telefono e immagini al computer, ma nessun dispositivo può sostituire il piacere di vedere e sentire dal vivo le persone care. E così, dopo mesi in cui li avevamo rimpianti e sognati, ecco di nuovo l’arena brulicante di atleti che si preparano, si sfidano e si salutano; riecco i cari vecchi avversari a cui ogni passo cercheremo di guadagnare quel secondo che, a risultati definitivi, ci farà gioire di averli messi dietro; ecco ancora la voce appassionata dello speaker, oggi velata anch’essa della stessa gioia fanciullesca di essere qua. Certo, i termoscanner all’ingresso, il brulicare di mascherine che fa somigliare l’arena ad un campo di banditi del vecchio west, la gestione dati barricata dietro il plexigas come impiegati delle poste; tutto ciò ricorda che sono tempi eccezionali. Ma la gioia di essere qua, con i vecchi amici dello sport che ci appassiona, ha la forza di superare tutti questi ostacoli.
La rinuncia in corsa del precedente organizzatore poteva lasciare i campionati italiani sprint e long senza assegnazione; fortunatamente la disponibilità delle due società primierotte ha salvato queste manifestazioni e, si può ben dire, portato ad un successo che non era scontato visto il pochissimo tempo a disposizione. L’augurio è che le due superbe prove, partorite con così poco tempo e molti ostacoli, sia preso ad esempio in altre ben più importanti e, per ora, balbettanti ripartenze.
La sprint di San Martino di Castrozza riesce a cavare percorsi notevoli da una mappa non complicata. Ogni punto impone scelte non banali, che si devono decifrare al massimo della velocità, mentre il tempo ticchetta spietato. Il tutto mentre le dure rampe del paese tagliano le gambe e riducono la lucidità metro dopo metro. Una, due, tre salite e anche i migliori iniziano a boccheggiare, ma oggi la fatica è un’amica gentile che avevamo scordato per troppo tempo; ci accompagna con un sorriso mentre facciamo una scelta sbagliata; sentiamo la sua voce mentre sprintiamo verso il finish, felici, comunque sia andata, di poter essere di nuovo qui e poter correre liberi negli spazi aperti, che il virus ci avevano per mesi negato.
La domenica il campionato italiano long si disputa molto vicino al paradiso. Gli oltre duemila metri del Passo Valles si aprono su una balconata di montagne che toglie da sola il fiato. Più su, si slanciano i pratoni di alta montagna, che poco dopo saranno un terreno durissimo, e l’incanto è difficile da riassumere a parole. Pare di correre sul campo da gioco degli dei, sopra di noi solo le aquile e un cielo azzurro che ci piacerebbe prendere ad augurio del futuro. Pronti via e subito una rampa micidiale mostra che oggi sarà durissima; inoltre, visto che porta al punto k, questo dislivello è un gentile omaggio degli organizzatori. Le gambe sono messe subito a dura prova, mentre il cuore fatica e i polmoni si tendono cercando l’aria più rarefatta. Si sale e si trova solo una distesa di praterie disseminate di massi, oppure centinaia di piccole curve che confondono e spauriscono anche i più navigati. Si corre o si annaspa, aggrappandosi alla bussola e cercando di scorgere particolari che ancorino il nostro concitato vagare. Le prime tratte sono le più crudeli, poi lentamente ci si abitua ma il gioco resta severo. Metro dopo metro è una guerra di nervi con la montagna che scivola, confonde, mischia le carte in un crescendo di difficoltà. Il terreno sotto i chiodi è una distesa di zolle infide, buche e sassaie infide. I campioni corrono, gli altri si barcamenano alla meglio. Si scende, ma dal paradiso si passa ad un costone ripido e dissestato che probabilmente è il purgatorio che spetta agli orientisti che hanno commesso troppi errori. Si balza di masso in masso pregando che tenga oppure si annaspa nel sottobosco fattosi spietato. Se ne esce solo per piombare nelle paludi condite, ormai è un’abitudine, di massi in ogni dove, nessuno troppo grande da essere un vero riferimento. Poi, lentamente, si risale verso l’arrivo, mentre la quota martella sui polmoni provati e le gambe sfibrate dal gioco crudele del prato irregolare. Ma anche oggi la fatica è un’amica cortese che ci tende la mano e ci fa compagnia quando il nostro animo è infelice. Anche oggi la vogliamo ringraziare. Anche oggi l’errore conta fino ad un certo punto, perché a marzo non avremmo creduto di poter godere così presto di giornate come questa.
Entrambe le prove erano campionati italiani e, quindi, tornano a contare i risultati. Come sempre, ottima messe di piazzamenti per gli atleti besanesi, anche se quando si assegna un titolo conta, alla fine, solo la prima piazza. Il giorno migliore è quello della gara sprint, dove vincono le loro categorie Stefano (M50), Licia (W70) e Silvia (W12). La più giovane si ripete il giorno dopo nella long, questa volta accompagnata sul podio anche da Chiara: decisamente una categoria dominata dai bianco-rosso-blu la W12. Nella giornata di domenica vince anche Sofia, che, causa infortunio, deve rinunciare alla sua categoria (la W16), dominando comunque la WC.
Tra gli élite arrivano i soliti ottimi piazzamenti in campo femminile, per quanto anche i maschi vadano a più riprese a ridosso della top 10 sia con atleti più esperti che con i nuovi ingressi in categoria. In ogni modo la copertina se la prende tutta Irene, capace di ben due podi in queste due esigentissime prove. Nella sprint, dopo un inizio in controllo, cambia decisamente passo nel più tecnico finale dando vita ad una sfida ad altissimo tasso di emozione: per tutti gli ultimi 7-8 punti sono ben quattro atlete raccolte in meno di otto secondi, per assegnare gli ultimi due posti del podio. Sono i secondi, che in una gara sprint, significano un’incertezza o un passante che ti fa deviare, a scandire continui ribaltamenti di scena che, se ci fosse stata una diretta tv, avrebbero incollato qualsiasi tifoso davanti allo schermo. Infine arriva un bronzo davvero sudato ma meritatissimo, in cui sono i centesimi a fare la differenza rispetto al quarto posto. Distacchi più importanti, come è normale, nella prova long, ma il distacco dalla prima è stato patito tutto nel primo punto: passato questo, tempi allineati con la vincitrice e una risalita metro dopo metro fino ad un bellissimo argento.
(di Andrea Migliore)