Pioggia e Appennini: i campionati italiani staffetta e long

Il primo lancio delle staffette a Lagdei. In prima fila le atlete WE, tra cui figurano per la Besanese Anna Caglio e Federica Maggioni.

Per il primo weekend di gare nazionali dopo la pausa estive si torna sull’Appennino parmense, ma se lo scorso anno la due giorni era stata contraddistinta dal sole e da un caldo improvviso, quest’anno nere nubi e la pioggia si addensano sugli orientisti pronti a ricominciare, dopo un’estate molto triste. Si inizia subito con un menù rilevante, visto che la trasferta appenninica propone due campionati italiani in bosco, staffetta e long, forse le specialità regine dell’orienteering. Come da tradizione degli ultimi anni, è la staffetta a prendersi la gara del sabato, disputata nei boschi attorno al rifugio Lagdei.

L’estate è ormai agli sgoccioli e si sente. Durante la gara a staffetta non piove, ma un cielo grigio avvolge gli Appennini, abbassando di diversi gradi la temperatura rispetto alla pianura. Cielo grigio significa che il bosco si fa scuro, cosa che in una gara con pochissime radure viene ancor più esasperata. La selva appare agli atleti pronti al lancio cupa, quasi sinistra, sicuramente inquietante. Il tempo di pochi passi, uno sprint rapido spinto dagli applausi dei compagni e si è già inghiottiti dal bosco. Subito cala il buio che avvolge gli atleti come un manto, togliendo certezze. Eppure, il terreno non è impossibile: il fondo si apre bene alla corsa, la visibilità è tutto sommato buona, la morfologia stessa non appare terribile dosando particolari e trappole in modo severo ma non cattivo.

La prima parte del percorso è quasi tutta in discesa, fatto che invita a spingere, permette di dare certezze agli atleti. I punti scivolano via sicuri, quasi facili alle volte; per quanto il bosco scuro occhieggi severo; per quanto certe rive ripide non promettano nulla di buono. Così, dopo aver illuso per qualche minuto, i tracciati si inaspriscono all’improvviso. La mano poco saggia del tracciatore porta tutte le categorie, non sono quelle che hanno per dovere di età le difficoltà maggiori, su una riva affilata come un rasoio. La scorgi da lontano, appena dopo un largo e dolce avvallamento. Gli alberi e il grigiore di un pomeriggio senza sole ottundono la reale percezione della salita. Pare quasi breve all’inizio, affilata ma corta. Poi avanzi e lei si ingigantisce; le sei sotto e pare un muro. L’orologio ticchetta, i compagni attendono, pare brutta cosa farli aspettare cercando un passaggio più umano; così giovani e anziani, deboli e campioni, la ascendono. I primi passi sono gagliardi: il clima della staffetta invita a spingere. Poi il fiato si spezza, le gambe iniziano a vacillare; i chiodi artigliano la china disperati, le mani cercano rami e ogni mezzo per non scivolare. Vanno, quindi, gli atleti, o meglio dire scalano l’erta selvaggia, abbrancandosi ora ad un alberello, ora zigzagando per tentare di darsi respiro, molti imprecando contro il tracciatore. Quando l’erta finisce, a molti le forze e la lucidità mancano, ma non è il tempo di riposare, perché la gara è ancora lunga. La discesa immediata pare irridere lo sforzo fatto prima e i successivi punti tendono a salire inesorabilmente, limando le energie sempre più. Il passaggio in arena porta un po’ di morale, grazie alle incitazioni dei compagni, ma non è ancora finita. Il loop finale si articola in un vallone complesso, dalla morfologia attorcigliata, che spazza via le illusioni di chi si era già creduto al traguardo. Il terreno stesso si inasprisce, la vegetazione si fa più fitta. La via verso il cambio si costella di errori e di tanta energia spesa.

La pioggia nel bosco: come appariva la selva di Lagoni durante il campionato italiano long.
La pioggia nel bosco di Lagoni. L'oscurità domina sul campo di gara.
Uno dei laghi attorno al rifugio Lagoni avvolto nella nebbia che ha contraddistinto le prime fasi del campionato italiano long.
Uno dei laghi presso il rifugio Lagoni. Si nota la nebbia che ha contraddistinto le prime fasi della gara long.

Energia che serve, e tanto, il giorno successivo in occasione della long di Lagoni. Intanto le previsioni meteo non hanno saputo penetrare le misteriose profondità dell’Appennino, così invece del sole gli orientisti si trovano la pioggia sul campo gara. Corno alle Scale non è così lontano e alcuni oscuri e mesti ricordi sembrano riemergere. Fortunatamente la giornata si mantiene piovosa, ma non terribile, alternando scrosci a momenti di quiete. Seconda cosa, le long spesso prevedono lunghi percorsi per la partenza, almeno per le categorie più forti. Trenta minuti di avvicinamento sono un tempo infinito, se attorno il bosco si mostra cupo e sinistro. C’è tempo di pensare, troppo forse, e soprattutto di temere. Man mano che si sale, infine, una bruma infida pare sorgere dal terreno stesso, insinuandosi nel bosco e togliendo certezze. La partenza alta è in una radura dove pure il vento viene a dire la sua, sferzando gli atleti che vanamente provano a scaldarsi. Il punto k sorge all’inizio del bosco, in una sorta di fessura formata da un rialzo che mostra appena una fetta di ciò che attende, e non sembra una vista allegra. Come il giorno prima, il cielo grigio rende cupo il bosco, ma fortunatamente gli alberi allontanano la bruma e allentano la pioggia, ma il freddo non è poco, e si fa sentire per gente appena uscita dai tepori estivi.

Chiara Magenes termina la sua fatica nel campionato italiano long a Lagoni.

I primi punti passano in un gioco non banale nel bosco più alto. Oggi il terreno è più lento, sassoso, scorre infido sotto i piedi e rende complicata la navigazione. Si tende a scendere in questa prima parte, ma le rive non mostrano mai di essere docili, obbligando gli atleti ad acrobazie talvolta. Completata la sezione più alta, di nuovo a ridosso della strada, il bosco pare aprirsi, ma senza mollare il suo fondo infido e sassoso. Le categorie più forti fanno ora la conoscenza con le tratte lunghe, o meglio con la tratta di andata e quella di ritorno, visto che si snoda lungo lo stesso sentiero. Questo sulla carta pare terribile, perché nero in mezzo ai punti neri degli onnipresenti massi; pare scomparire a tratti, non si mostra facilmente all’occhio preoccupato. Nella realtà è più netto, ma soprattutto la mano feroce del tracciatore viene lenita da quella caritatevole del club alpino che non ha lesinato in fatto di bollature. Ogni tacca biancorossa viene salutata con soddisfazione dagli orientisti più incerti che vengono rassicurati dalla loro vista benefica. Il rientro in particolare è in perenne e costante fatica e obbliga tutti, campioni e comparse, ad un duro lavoro per venirne a capo. Non è ancora finita: nell’ultima parte il bosco risale di livello tecnico; non si risparmia le ultime trappole, che le menti stanche degli atleti non sempre riescono a parare. Il finale è tutto in salita e lo sprint è ancora dentro il bosco, non premiando neppure gli atleti di un’arena in cui ricevere qualche applauso o incoraggiamento negli ultimi metri. Intanto non ha ancora smesso di piovere; il vento continua il suo gioco e il freddo ricorda gare di fine stagione. L’area di Lagoni e Lagdei non cede al sole neppure all’ultimo, quando potrebbe ancora irridere gli atleti che smobilitano verso casa; sino all’ultimo resta orgogliosamente cinta da un codazzo di nubi e scrosci irregolari, ostinata nella sua cupezza che ha contraddistinto il primo weekend di gare dopo la pausa di un’estate, che quassù sembra non mai essere arrivata.