Cuneo è una cittadina piazzata in un angolo remoto dello stivale; tagliata fuori dai principali assi di comunicazione, si è abituata nei decenni ad essere un po’ dimenticata dal resto d’Italia che ha di essa un’idea, probabilmente, molto vaga e confusa. Così, quando finisce al centro del palcoscenico, si trova quasi in imbarazzo a mettersi in mostra, convinta forse di disturbare gli illustri ospiti. Eppure, non ha bisogno di fare scena, perché quanto ha da offrire lascia i visitatori sorpresi oltre la loro iniziale aspettativa. È così è stato anche in questa Festa della Liberazione 2023. I titoli dei giornali sono stati, come è normale, tutti per la visita del Presidente della Repubblica, che ha mostrato quanto questo piccolo angolo d’Italia abbia contribuito alla storia più nobile del nostro paese. Però negli stessi giorni Cuneo è stata al centro anche di un’altra storia molto più piccola e modesta: quella di poche persone che praticano uno sport che quasi tutti ignorano, cosa che lo accomuna nello spirito a questa terra dimessa e meravigliosa.
Dopo il sontuoso inizio di fronte alle scogliere di Vieste e la maestosa Foresta Umbra, è la provincia Granda ad ospitare il secondo weekend di gare nazionali della stagione. Si può quasi immaginare i dubbi degli orientisti, quando i navigatori hanno annunciato l’uscita dall’autostrada ad oltre sessanta chilometri dalla città, o suggerito in alternativa un largo e caro giro da Torino: se un capoluogo è così mal servito dalle comunicazioni, come potrà essere degno di attenzione, si saranno detti. Fortuna che la natura ha apparecchiato uno splendido benvenuto, imbiancando le montagne che, in quest’angolo di Alpi, sembrano stringere la piana in un abbraccio. Maestose e degne di rispetto sono apparse le cime delle Marittime, mentre le auto degli orientisti si dirigevano verso Vinadio, sede della gara sprint del sabato. I loro versanti si ergevano possenti, punteggiati di piccoli paesi dall’atmosfera già alpestre che hanno suscitato i primi commenti di sorpresa meraviglia. E il meglio doveva ancora cominciare.
Cuneo è contraddistinta dalla severa atmosfera militare, ereditata dall’essere inviolata piazzaforte per secoli; pertanto, che poteva esserci di più caratteristico di una gara in un forte? Il ritrovo avviene in una delle austere corti del complesso fortificato di Vinadio. I possenti bastioni troneggiano sopra i capannelli di orientisti che si radunano, incerti di quello che sarà. Vinadio attende i primi concorrenti, silenzioso, discreto, come nella natura più intima di questa terra; così, quando il bip annuncia la partenza, nessuno può sapere quello che sarà: non ci sono proclami roboanti, vanagloriose promesse di mirabolanti sorprese. La mappa non si rivela, lasciando che siano gli atleti a giudicare quanto può offrire loro. E dubito che in molti siano rimasti delusi.
L’inizio è quasi classico: una matassa di vicoli stretti e piccoli isolati che obbligano ad una lettura rapida e precisa, mentre le prime rampe fiaccano le forze degli atleti in gara. Tutto molto bello, ma tanti borghi e villaggi alpini possono offrire altrettanto e, in alcuni casi, di meglio. Il primo passaggio nel forte introduce il tema del multilivello, spiazzando chi si stava abituando a zig-zag tra i vicoli. Segue un nuovo giro nel paese, che obbliga ancora a cambiare approccio, rendendo dannatamente difficile sbrogliare questa matassa. La fortezza ottocentesca non ha mai avuto modo di essere impegnata in guerra, ma è stata progettata bene: le varie parti del complesso sono studiate per rendere la vita difficile al nemico e sbaragliare ogni sua levata di ingegno, così come oggi sono rintuzzati gli orgogliosi talenti dei concorrenti, dai più forti ai più incerti. Dopo che uno-due punti avevano permesso di disegnare uno schema, ecco che un cambio di prospettiva obbliga a ripensare tutto. Il secondo passaggio nel forte conduce alla lunga discesa nel fossato, dove tra i potenti bastioni si può dare fondo alla velocità. Ma si è sempre sotto il tiro dei cannoni del tracciato, che non lasciano un secondo di tregua e incalzano ogni volta che si crede di aver trovato la chiave per espugnare questa mappa. Di colpo si lasciano gli spazi circoscritti del forte e si è proiettati nel campeggio: qui la confusione è tanta, perché i particolari sono troppi e vari da indurre facilmente all’errore. Qui una piazzola di stanziali, là un gruppetto di alberi, poco oltre una macchina parcheggiata: c’è troppo e la lettura è complessa anche se gli spazi sono ampi. Sale in cattedra la bussola, così ignorata alle volte nelle sprint, ricordando che anche questa specialità è orienteering: e qui a Vinadio è orientamento di alto livello. Ci si sposta nuovamente nel forte e ora si deve entrare nei bastioni. Di colpo si viene inghiottiti dall’oscurità e si deve procedere a memoria. In qualche modo si esce da questo budello e attende un nuovo loop sui prati, fisico quanto basta. Poi si è proiettati nuovamente nei bastioni e ancora una volta cambia tutto. Si va avanti così tutta la gara, sballottati da un cambio di prospettiva all’altro. Il forte mette in campo tutte le sue risorse per confondere e, per conquistare questa gara, si deve andare all’assalto contro una serie di impenetrabili bastioni: ogni singolo punto deve essere conquistato con esperienza e capacità, avanzando sotto la mitraglia delle difficoltà tecniche e il fuoco delle asprezze fisiche. La gara di Vinadio non aveva bisogno di promesse roboanti per coprire con chiacchiere la sua vuotezza: si è presentata con poche parole e ha messo in scena uno spettacolo di altissimo livello.
Si replica la domenica con i Campionati Italiani Middle ad Esterate, spostandosi dalla Valle Stura alla Val Gesso. L’arena si presenta con un profilo gradevole: un bel prato attorno ad un rifugio, circondato a sua volta da splendide montagne innevate. Tutto molto bucolico, ma i versanti di questi monti appena oltre il prato nascondono insidie a dozzine. Inganna il breve avvio verso la partenza: un prato dolcemente inclinato, con l’erba rasa e soffice. Poi, non appena viene dato il via, ogni aspetto delicato viene spazzato da una mappa che fa dell’asprezza il suo punto caratteristico. Il primo loop sul versante meridionale presenta un ripido versante costellato di massi. Ogni singolo centimetro va conquistato con caparbietà, perché ogni masso, ogni sconnessione nel terreno, ogni tratto di sottobosco congiura per metterti in difficoltà. Nella tua mente è tutto semplice: si prosegue diritti lungo il versante, poi c’è il piano dove un muro ti dovrebbe guidare fino alla seconda balza, dove una canaletta porta al punto. Nella mente è sempre tutto semplice, perché l’uomo ha la dote insana di confondere la speranza con l’illusione. Intanto il primo versante è un muro costellato di massi e asprezze varie. I passi incespicano mentre il fiato si fa subito pesante; il sottobosco, intanto, tende le sue insidiose trappole e ti svia: un attimo prima eri sulla linea rossa, poi una serie di cespuglietti infidi ti devia di qualche grado. Non te ne accorgi e arrivi sul piano: qui vedi un muretto e sei felice, peccato che non sia quello che desideravi. Va detto che il cartografo qui aveva due possibilità: o colorava la mappa tutta di puntini neri e dava una rappresentazione veritiera, oppure privilegiava la leggibilità e quindi doveva semplificare e limare via l’eccesso. Ecco, questo muretto che ti adesca tentatore fa parte dell’eccesso; è solido, lo puoi vedere, ma sulla mappa non esiste e quindi ti porta da tutt’altra parte. Inizi a fallire qui e prosegui il punto successivo e quello dopo ancora. Illude un poco la fase di transizione verso la parte settentrionale della mappa, dove, però, le difficoltà riprendono. Le rocce sono sempre di più, i muretti sembrano ovunque tranne che in mappa, il sottobosco alterna aree illusorie dove spingi un po’ e moltiplichi il tuo errore, ad altre dove si serra una barriera ostile. Ogni centimetro rivela un’insidia che contribuisce a spezzarti e avvilirti. Ovviamente nel bosco è il caos: orientisti ovunque accomunati dal destino di essere perduti. Qui ne odi uno imprecare, là uno mendica un aiuto, ancora oltre un terzo pare vagare senza una meta. Pare un ballo di matti, con gente che scatta in ogni direzione cercando di portare la pelle fuori da questo pandemonio. E il bosco, le mille rocce e i rametti insidiosi, dirigono questa folle danza somministrando legnate a tutti, chi nel morale dopo l’ennesimo errore, chi nel fisico quando per la decima volta si incespica e ci si deve rialzare.
Per i più coraggiosi il ponte di festività offre ancora due gare. La prima è ospitata dalle insidiose colline di Pianfei, dove si cela un piccolo inferno di orientamento: si mescolano, infatti, ripidi versanti con un sottobosco che a definirsi infido e folto pecca di modestia. Tutt’altra storia il giorno seguente al Parco Fluviale di Cuneo, anche se il verde sulla carta corrisponde a tratti fitti e spinosi. Però qui c’è un bel piattone di semiaperti, dove correre veloci ma sapendo che un piccolo eccesso può portare ben lontani dal punto desiderato. Quattro giorni bastano appena per definire l’anima di una terra, ma chi scrive è certo che nessuno degli ospiti giunti a Cuneo da tutta Italia sarà ripartito deluso. Ognuno avrà trovato la sua bellezza in questa terra schiva, appartata, ma di profondo fascino.