Le trasferte al Sud Italia rischiano di essere sempre in formato minore: per la maggior parte delle società il viaggio diventa impegnativo, con conseguente aumento dei costi. Il rischio è quello che una parte consistente degli atleti boicotti queste manifestazioni, per un motivo o per l’altro, così che in certe categorie si mettano in piedi competizioni a giri molto bassi. Questo è un peccato, perché normalmente il Sud Italia risponde con scenari da favola, dove è un piacere correre e dove le sfide tecniche non mancano, neppure per i più esigenti. Il primo weekend di gare nazionali del 2023, disputato in Puglia, non ha, infatti, deluso le aspettative, per quanto fossero numerose le assenze, almeno a livello italiano.
Vieste è un gioiello incastonato sulla frastagliata costa del Gargano. In Italia non ci facciamo più caso, perché borghi altrettanto magnifici si trovano quasi ovunque, ma di sicuro gli ospiti scandinavi saranno rimasti sorpresi dalla bellezza di questo scenario. La città vecchia sorge su un contrafforte che si slancia verso il mare, racchiudendo al suo interno tutta una matassa di vicoli attorcigliati, densi di un’atmosfera molto intima e rilassata. È il regno delle scalinate, che appaiono ovunque, ora più ampie e gentili, ora secche e ripide. Le vedi fin dalla partenza, perché tra la raccolta mappe e il punto k c’è una scalinata decisamente ostica; è la prima cosa che scorgi quando arrivi alla partenza, segnale che oggi non si lesinerà senz’altro sul dislivello: sai che quei metri non sono contati nel totale dichiarato; quindi, sono un generoso regalo degli organizzatori per mandare su i battiti del cuore subito. I primi punti sotto la tozza mole del Castello Svevo sono pura accademia, per abituarsi ai dislivelli e alle rampe affilate come rasoi. Poi si viene gettati nella città vecchia, dove i vicoli si stringono e impongono svolte rapide e decisioni svelte. L’occhio deve volare rapidissimo dalla mappa alla realtà, non solo per adattare la cartografia alle scelte di percorso, quanto per evitare urti con gli altri concorrenti. La pianta della città non è di difficoltà estrema, ma le continue svolte rendono complicata la lettura, anche perché i mille gradini permettono solo ai migliori di leggere con sicurezza, e le vie laterali si aprono vicinissime: un attimo di disattenzione e si finisce altrove. Il finale, velocissimo, è dedicato ad uno scenario di rara bellezza: la baia di Vieste si apre cinta da contrafforti di roccia; le onde spumeggiano sulla spiaggia sabbiosa; la città vecchia fa da perfetta quinta teatrale per l’ultimo sprint. Fatti salvi gli incitamenti dei compagni di squadra, c’è un silenzio che è innaturale a Vieste in altra stagione. I primi giorni di primavera, con il loro clima piacevolissimo, rendono il mare leggermente malinconico nel suo silenzio e solitudine, ma gli danno anche un fascino specialissimo che il clamore e la confusione estiva non riesce mai a replicare.
Bisogna alzare un po’ i toni dello stile, invece, per descrivere la gara long della domenica. La Foresta Umbra è uno scenario di orienteering maestoso; tanto che merita di essere descritta e calcata con il dovuto rispetto. Il bosco si estende per miglia in una contorta orografia che non lascia mai spazi facili. Sotto le ombrose faggete viene nascosto un campo da gioco di altissimo livello, dove solo i più forti salgono sulla ribalta. La limitata rete di sentieri rende scarni ed essenziali i punti di riferimento certi, obbligando gli atleti a competere nel fitto del bosco, dove non c’è spazio per la pietà. Il terreno ondulato si attorciglia in un’orografia complessa, dove solo una mente superiore riesce con un colpo d’occhio a cogliere tutte le sfumature. Le doline si aprono ovunque, numerose, chiamando all’atavico dubbio: se sia meglio attraversarle diritte, oppure aggirarle senza sommare dislivello, ma pagando il rischio di perdere la giusta direzione. Il bosco stesso, generalmente bianco, è attraversato da una molteplice quantità di aree verdi, dove la visibilità si riduce e si deve lottare con la vegetazione che si incattivisce man mano. Ogni regione ha la sua peculiare forma di spine. Al nord la fanno da padroni i rovi, che si ammassano in certe aree come reticolati spinosi; qui è il regno del pungitopo, che si è sviluppato nel bosco con pervicace regolarità. Appare all’improvviso sul cammino del malcapitato orientista, talora camuffandosi tra le innocue felci, pronto a colpire come un diabolico serpente.
Non esistono punti semplici in questa carta, salvo i pochi trasferimenti che si possono fare sui sentieri. Così nel marasma di doline, cucuzzoli e contorte forme del terreno, succede di tutto. Gli orientisti annaspano da punto in punto, appigliandosi alla mappa e alle loro sicurezze, come fioche luci nelle tenebre. Se le scelte sono giuste e l’esecuzione anche, arriva il meritato premio di una lanterna conquistata, che oggi merita davvero il suo nome, perché è come un faro nella notte per gli sperduti viandanti. Se invece si compiono errori, se le certezze laboriosamente costruite vengono spazzate via del bosco crudele, allora si va alla deriva e feroce è il naufragare in questo mare. Si inizia con un piccolo dubbio, un cucuzzolo che non è dove dovrebbe essere o una dolina che pare di troppo. La si ignora, cercando di generalizzare e di appoggiarsi a qualche particolare evidente. Poi, d’un tratto, ogni piccolo appiglio sparisce e il baratro si apre. La carta ti beffa mostrando mille doline plausibili per quella che appare lì di fianco a te, mentre le collinette intorno sembrano andare in tutte le direzioni tranne quelle in cui vorresti. Cerchi disperato un punto evidente, che ti ricollochi con sicurezza, ma il bosco è un maestro severo che lesina ogni piccolo aiuto.
E così si assiste alle solite pietose scene che i boschi più crudeli godono a vedere: orientisti sperduti che, bestemmiando, vagano in cerca di un segno, sconfitti che piegano ogni orgoglio mendicando un aiuto, derelitti che attendono presso una lanterna l’arrivo di un compassionevole concorrente che condivida con te la posizione. Talvolta si viene spazzati lontano, l’errore persevera così tanto che si finisce ben distanti dal punto, come naufraghi in balia delle onde; è come finire al tappeto dopo essersene buscate assai. Il bosco, di solito abituato a udire solo i bramiti dei cervi o i grugniti dei cinghiali, oggi si riempe delle imprecazioni nei vari dialetti, di suppliche smozzicate e digrignare di denti; lui ne gode ferocemente e resta lì a guardare, dall’alto dei suoi faggi i miserabili che errando vanno di punto in punto sempre più affaticati.
Solo, a tratti, è il bosco a dover incassare delusioni e masticare amaro. Sono pochi quelli che avanzano sicuri e vittoriosi ma ci sono; li vedi per un tratto: volano da una dolina all’altra come dèi antichi, cinti di grazia ed eleganza. Paiono quasi danzare tra le collinette e le fosse. Contro di loro il bosco tende i suoi tranelli più efferati, prova ogni gioco per indurli all’errore, ma loro sviano ogni trappola, non compiono passi falsi e avanzano sicuri fino al traguardo. Così la selva selvaggia infierisce incattivita sui concorrenti più deboli: gli sconfitti che errano incerti cercando in ogni modo di uscire da quel groviglio in cui la loro passione li ha cacciati. Per i campioni è un gioco da ragazzi, ma per gli altri è una lotta dura, quasi col coltello tra i denti, un corpo a corpo spietato contro la natura, che alla fine qui vince sempre. È una lotta senza quartiere, che, anche a chi soccombe su una tratta, riuscendo però a completare il tragitto, offre una soddisfazione senza pari al termine. Perché chi ha domato la Foresta Umbra è un grande campione; ma chi ne è uscito contro tutti i propri limiti è un individuo tenace e coraggioso che merita, anche nella sconfitta, il rispetto.