L’orienteering è uno sport incredibile guardato dal fondo della classifica: durante la settimana sei un signor nessuno, che annaspa se deve tirare le ripetute a quattro al chilometro. Poi il weekend ti ritrovi spalla a spalla con i più forti atleti della categoria, e in fondo alla mente sei consapevole che con una combinazione molto improbabile e ingiusta potresti anche diventare campione italiano, obbligando così la federazione a chiudere la baracca per la vergogna. I campionati sprint esasperano questa situazione, perché ti trovi all’improvviso chiuso in un’area di quarantena con i migliori e ti domandi che ci fai lì. Sui loro petti brillano ancora le medaglie conquistate, le loro fronti sono ancora cinte di allori mentre tu puoi al massimo vantare una medaglietta vinta in qualche gara di quartiere. I loro nomi sono scanditi con timore e rispetto … Zagonel, Dallavalle, Pezzati … hai forza a dirti che, fuori dall’orienteering, sono ragazzi normalissimi … alle tue scarse orecchie questi nomi risuonano come ad un contadino dell’antica Grecia echeggiavano quelli di Achille, Aiace, Odisseo, che, non a caso, nel ventitreesimo canto dell’Iliade danno mostra di abilità sportive fuori dal comune. In cerca di un po’ di conforto volgi allora lo sguardo verso i carneadi par tuo, quelli a cui contendi le parti basse delle classifiche, quelli che nella corsa imitano il tuo stile pesante e ti danno un po’ di fiducia. Poi qualcuno di loro, per ingannare l’attesa, tira fuori gli appunti di fisica nucleare e allora capisci davvero che lì sei totalmente fuori luogo.
Con questi pensieri ti rechi alla partenza. Di fronte a te ci sono le rampe aguzze e le scelte tortuose, ci sono minuti di corsa matta e disperatissima in lotta con il cronometro, ma nelle tue gambe e nella tua mente la sconfitta si è già insinuata e ti chiama per nome. Annaspi, via dopo via, scalinata dopo scalinata, cercando di salvare la faccia, mentre i campioni di cui sopra ti superano un po’ seccati di dover perdere qualche istante a deviare per passarti.
Feltre e Belluno sono state le arene per le loro epiche lotte e per le tue penose disfatte; distinte cittadine dell’alto Veneto, ancora vegliate in alto sulle porte dall’effigie del leone di San Marco, che ai locali rimanda pensieri romantici di passate glorie.
I campionati italiani sprint si corrono tra i vicoli stretti ed erti della città feltrina, su e giù tra la splendida Piazza Maggiore e il castello di Alboino e la parte bassa, in un continuo infierire sulle gambe maltrattate dal dislivello gradino dopo gradino. L’ottima tracciatura obbliga a continui adattamenti: ora tratte lunghe in cui menare su aspre salite, ora grappoli di punti in cui confondere il proprio può essere facile, ora barriere che tolgono certezze e costringono ad ampi giri.
Belluno non cambia lo spartito, il giorno dopo. Si arriva al parcheggio e subito troneggia cinquanta metri più in alto la Basilica di San Martino. L’abside spoglio e massiccio che incombe sullo strapiombo pare un’affilata parete di roccia e toglie, così, ogni illusione che possa essere facile. Infatti, la piazza lì dietro, sede del traguardo, deve essere conquistata salita dopo salita con uno sforzo imponente, che il cronometro che ticchetta rende più affannoso. La parte alta della città offre tratte più pianeggianti, ma anche qui si deve andare a tutta e non c’è spazio per il recupero.
La città ospita il primo campionato italiano knock-out; e lo spettacolo non è certo mancato sotto l’augusto Palazzo dei Rettori e la Basilica che svettano sull’arena di gara. La prova, rapida e spietata, farà storcere il naso ai puristi, ma è davvero piacevolissima per il pubblico assiepato all’arrivo. Si parte in sei, spalla a spalla, su un tracciato breve dove l’errore si paga carissimo. Si deve correre davvero al massimo, quasi senza prendere fiato, riducendo ad un battito di ciglia le scelte da compiere e lottando metro dopo metro con l’avversario che cerca di scappare via. Si accendono duelli omerici tra i partecipanti, serrati in una lotta feroce. La presenza dell’avversario confonde ed esalta, inducendo a dubitare e prendere scelte anche folli nel tentativo di recuperare. Tra una batteria e l’altra ci si chiede come sia possibile che la federazione e i suoi social media manager si siano lasciati sfuggire l’occasione di diffondere presso il grande pubblico questo spettacolo, e non con gli scialbi documentari che produce ora, ma con una trasmissione vera della gara élite. Le prove in bosco e la sprint individuale, magnifiche nella loro poesia, sono troppo elevate per un pubblico di non praticanti, ma le staffette e la knock-out sono più avvincenti di molti altri sport. Fatto salvo per i quarti di finale in cui i campioni hanno dovuto sprecare energie per liquidare oscuri dilettanti, come chi scrive, e che sono stati un po’ ridondanti; semifinali e finali hanno offerto uno spettacolo esaltante. C’era tutto, davvero: uno speaker bravissimo, che ci ha fatto emozionare come e meglio dei suoi colleghi che hanno accompagnato la nostra estate tra europei e olimpiadi, atleti di spessore che hanno dato tutto, continui colpi di scena e ribaltamenti di fronte che pochi sport sanno offrire.
Sicuramente correre le gare reca una gioia diversa, una soddisfazione particolare, ma questo pomeriggio le emozioni da spettatore non sono state meno, anche perché gli atleti davvero ci hanno messo di tutto per emozionare. Dalla partenza a tutta alla lotta per la prima posizione, dal passaggio al punto spettacolo dove gli attardati lanciavano il cuore oltre l’ostacolo per rosicchiare qualche metro, fino all’arrivo, ogni momento ha regalato anche a noi che guardavamo emozioni a non finire. Il corridoio d’arrivo deve essere stato da pelle d’oca per gli atleti: cinquanta metri in leggera salita tra due ali di folla che tributava un applauso al primo come al sesto, perché ognuno di loro si è meritato l’ovazione. I volti degli atleti erano tutti intessuti di fatica e di orgoglio, che arrivassero primi o ultimi, ma i loro visi nell’ultimo e massimo sforzo erano pura poesia. Si passava dai visi sereni e alteri delle straniere, sicure della loro forza, al sorriso della campionessa italiana quasi incredula della grande rimonta effettuata. Sui volti degli sconfitti c’era un misto di delusione e gioia per gli applausi ricevuti, sui vecchi leoni eliminati in semifinale l’attonita rabbia di chi comprende di aver perduto ma non intende ancora mollare. Lo sport è altissima narrativa alle volte, perché riassume in un gesto o uno sguardo, le emozioni che poeti e scrittori hanno cantato nei loro capolavori. I pochi secondi dello sprint per le medaglie nella gara maschile ci hanno regalato emozioni purissime, quasi pari alle gioie che da italiani abbiamo vissuto sull’erba di Wembley, nello stadio di Tokyo e, più recentemente, sotto la rete della Štark Arena di Belgrado e le strette vie di Kocaeli, perché in questa folle estate azzurra abbiamo saputo vincere anche nell’orienteering. Ecco forse la notizia rimbalzata dalla Turchia, con l’oro conquistato da Francesco Mariani nella sprint dei JWOC, mentre i nostri élite battagliavano tra le vie di Belluno, è stata la ciliegina sulla torta di una fantastica giornata di orienteering.