Lo scorso anno uno dei primi weekend di orienteering cancellato dalla pandemia fu la due giorni della Val Brembana, proprio nella provincia simbolo di quei primi, tragici giorni. A distanza di dodici mesi gli orientisti italiani hanno potuto fare ritorno nella bergamasca per riappropriarsi delle gare e della gioia di disputare questo magnifico sport. E le mappe di Serina e Dossena hanno offerto una splendida due giorni di orienteering, che avrà sicuramente soddisfatto i più esigenti.
La gara del sabato, corsa nel piacevole villaggio di Serina, ha riportato le sprint alla sua dimensione più avvincente, dove la forza delle gambe deve equivalere all’abilità della mente. Dopo le tappe, un po’ scialbe, tra le vigne di Lonigo e le ampie vie di Montecchio e Schio, Serina ha offerto un reticolo di passaggi e scelte nuovamente di alto livello. I primi punti, nella parte più alta del paese, hanno avuto un approccio timido, quasi scontato, dove le gambe e la velocità hanno fatto da padroni. Ma ai primi sentori della fatica, lo scenario è cambiato imponendo in rapida successione passaggi stretti, trappole e scelte non facili da leggere quando si deve correre al massimo e le rampe si mostrano via via più cattive.
Le sprint tecniche hanno la peculiarità di condensare sforzi importanti in pochi minuti; per le gambe naturalmente, ma anche per la mente, perché si deve speculare di alta geometria mentre si corre al proprio massimo, la lucidità è dimezzata dalle ripide scalinate e si devono prendere decisioni in pochi fatali attimi: lo sguardo ha appena un secondo per cogliere ogni particolare dalla mappa, la mente ne ha al massimo un altro per decifrare le trappole, adattare i simboli alla realtà e calcolare il percorso migliore. Tutto questo mentre l’orologio ticchetta implacabile, la svolta è pochi passi avanti e, magari, un altro orientista spunta correndo a perdifiato e bisogna evitarlo.
Serina si appoggia ad un versante scosceso, declinando lungo il monte, pertanto gli spazi per rilanciare sono pochissimi: o si annaspa sulle scalinate o si arranca sulle vie in perenne salita, mentre le discese sembrano far lo scherzo di avere del selciato, pietre smosse, tutto ciò che obbliga a correre con attenzione e minimizzare gli sguardi alla mappa. Questo ovviamente, perché, il tracciatore ha voluto rendere il più complesso possibile lo scorgere quel piccolo tratto nero che ci obbliga ad un lungo giro, il disinnescare le trappole e arrivare al traguardo con le gambe in croce e la mente sfibrata da questo sforzo breve ma immane.
Le rampe di Serina sono, però, soltanto l’antipasto di quanto aspetta il giorno seguente a Dossena. In questo tratto di bergamasca, le Orobie si innalzano maestose e ripide e le curve di livello si assembrano in spregio ad ogni restrizione sanitaria. Al ritrovo si osservano preoccupati i primi arrivi. Illude un poco l’ultimo tratto in discesa: i visi sono tirati, fieri di avercela fatta ma provati. Lentamente, ma inesorabile, si diffonde una voce: oggi sarà durissima, i versanti sono affilati come lame e la mappa non è neppure semplice. Si trotterella verso la partenza preoccupati, tanto che sono pochi quelli che si scaldano, come se si volesse tenere stretta ogni stilla di energia. Sotto il bel sole di fine aprile, non distrae il paesaggio bucolico della Alta Val Brembana: dall’alta parte troneggiano i versanti ripidi che saranno solo il primo ostacolo di giornata. Ognuno lo sa, ci scherza, ma nel cuor suo sente la paura crescere.
Si parte e il primo tratto pare illudere: bosco bianco e prato in leggera salita. Poi si presenta la prima rampa e ogni illusione è morta. Valicato questo primo muro, si aprono verdi pascoli che ai meno preparati sembrano già quelli celesti. Le Orobie ammantate delle ultime nevi di stagione sono uno spettacolo che commuove anche chi lotta per il risultato. Le salite, intanto, spezzano il fiato e sono pochi quelli che corrono ormai.
Eppure, la mappa ha in serbo ancora la sua carta più spietata, un luogo dove alle abilità tecniche si deve sommare il coraggio nel fatale andare. Il vallone tanto temuto dei discorsi in partenza si palesa, affilato come una lama nel suo ingresso, tanto che i più pavidi, chi soffre di vertigini, vacilla e cade. Per chi prosegue è un delicato gioco contro la gravità e la propria imperizia: un piccolo errore significa metri di dislivello da riguadagnare con immensa fatica.
E, ovviamente, non è ancora finita: terminato il periplo del micidiale vallone si torna indietro ad affrontare il finale, tecnico come non mai, quando le gambe implorano un giaciglio e la mente vacilla. Si lotta punto dopo punto nello sporco, in un bosco che lesina sulla visibilità come un vecchio avaro scontroso. Si dipana a fatica il gomitolo di sentierini e particolari che confondono atleti sfiniti e provati. Solo il finale in leggera discesa regala l’emozione di chiudere una gara tanto tosta. Sembra retorico affermarlo, ma anche questa è una giornata dove gli applausi devono andare a chiunque arrivi. Ai vincitori, superbi dominatori di queste aspre montagne, ma anche ai battuti, anzi forse a loro vanno tributati gli onori maggiori oggi. Il talento è un dono e un fardello, perché è un peccato mortale non impegnarsi per farlo fruttare, ma la testardaggine di chi arranca ore in bosco; di chi annaspa sui versanti più ripidi senza cedere; questa fiera cocciutaggine di non mollare anche se è chiaro al punto uno che la vittoria e il podio sono già andati; l’ostinata tenacia di andare avanti senza un premio ad allettare; questi sono altrettanto da lodare. I complimenti vanno al campione che innalza i limiti umani sempre più in alto ed è degno di onore; ma altrettanto elogio deve andare a chi, intessuto e prigioniero di quei limiti, li affronta a viso aperto, ne è sconfitto ma prosegue sino alla fine. Pare un traguardo alla portata di molti, ma in realtà lo è per pochi. Ed è stato bello vedere quanti fossero quei pochi, sprintare l’uno dopo l’altro sul polveroso sentiero sopra Dossena.